Beppe Costa sceglie: Chiara Daino




«Io sto morendo, ma quella puttana di Emma Bovary vivrà in eterno!». È così, Gustave, per quanto sia dura da digerire. Anche se sei Flaubert in persona, è inutile imprecare! Respira, un respiro profondo, un respiro di profonda rassegnazione. E poi, rallegrati. Essere un Personaggio non è così divertente. Nessuno può tutto. Neanche tu, neanche io. E non ne posso più, credimi. È tutto sbagliato. Tutto. Tranne la tristezza. Che la bocca non dice. Non deve più dire. Né scusa, né grazie. È la perfetta tristezza di ogni Personaggio. Di ogni Personaggio che carisma una Vita Autonoma, senza maschere e con tutte le maschere del mondo. È la grazia di una tristezza autentica, amara e assoluta. Di cosa, dimmi, di cosa? Dimmi di cosa, piccolo e presuntuoso saccente, dimmi di cosa, patetica parodia di Mosè, dimmi di che cosa – deve ridere un Personaggio? Dell’Amore, certo. Dell’Amore si deve sempre ridere. Perché è ridicolo tutto questo Amore di cui parlate, parlate, parlate… Vi riempite le mani e le lingue con l’Amore, solo per sbatterlo e per sputarlo in faccia agli altri, a sfregio, solo per rimanere dalla parte dei buoni, dei salvatori. Quale Amore? Siamo seri, per una volta. Per una volta, facciamo questo gioco. Siamo seri. Seri come Personaggi, seri come Persone, seri come le Pupille di pietra. Congela tutto questo clima ipocrita dell’Italietta misera che manipola e mistifica. E basta! Basta con l’arte anonima, basta con l’arte senza artista, che basta così poco ormai per dirsi artisti. Non è divertente! Non lo è più, da quando avete ammazzato tutti, uno dopo l’altro. Li avete ammazzati, senza sporcarvi mai le mani. Quelle mani di miele corrotto, quelle mani viscose di muffa e ovatta liquida. Basta! Che non vi basta mai! Mai sazi dei nostri sacrifici! Ora, basta! L’Io NON è morto: l’avete ucciso con le vostre menate! Sparite o tacete! Un minimo di dignità – e risparmiateci l’allacrima coccodrilla! L’Ego si è suicidato perché non vi sopportava più! Siete troppo vecchi per morire giovani. Almeno un briciolo di rispetto per chi spala la vostra mole di merda! I nostri sono giochi pericolosi e giochi seri, seri come le statue ormai lise – da tutte quelle vostre mani unte e prepotenti. Come statue deturpate, per la noia di qualche vandalo, rimaniamo saldi – ma basta sconti! Scendete da quei dannati piedistalli e pagate, pagate le statue che avete sfigurato! Pagate le vostre Puttane! Perché un Personaggio è una Puttana! Hai avuto quello che volevi. E ora: paga! Noi che non abbiamo un solo Io, ne abbiamo centinaia, migliaia, Noi tutti abbiamo scelto! E abbiamo scelto di vivere da Puttane, ma senza mecenati-papponi. Abbiamo recitato, redatto, resistito. Abbiamo ridotto i bisogni al minimo. Disperati prima, disillusi poi, abbiamo piagato rotule e scalato tetti, patito la fame e bruciato ponti. Abbiamo pagato tutto, sempre, a pelle. Non abbiamo più salute fisica né mentale. Non godiamo più, ma se potete e volete godere: pagate! Anche l’anima vi abbiamo dato e dedicato e devoluto, ma non è stato abbastanza. Non è mai abbastanza, per voi. Continue prove di coraggio e non un solo compromesso. Non è abbastanza. Abbiamo abbassato la testa a testa alta: sconfitta dopo sconfitta. Tutto, senza riserve. Senza scorte. Dritto, di taglio, affondo. Altro da dire? Da dimostrare? È abbastanza? Dimmelo tu! Ti è piaciuto dare addosso all’untore, sentirti sano e dalla parte dei buoni? Ora paga! Non pensare che un Personaggio si accontenti dei lividi! Ora paga. Paga il prezzo che devi! Paga i tuoi scheletri e i tuoi armadi, dopo che hai razziato i miei sogni e i miei cassetti! Complimenti e condanne, consigli e critiche non bastano più! Non dopo il 9 maggio 1921, almeno, non da quando – sciamo scesi, strappando i fili, dal vostro teatrino di burattini. E siamo scesi in strada e dalla strada abbiamo imparato. Se sgarri, paghi. Se consumi, paghi. Siamo le Puttane che devi pagare, per sentirti migliore, per sentirti potente, per fingerti dio. Non è più un problema nostro quale sia il vostro ruolo. Paga. In contanti. Paga il tuo capro. Paga che è arrivato il momento del conto. Che comunque devi pagare il biglietto. Protesta, diffama, chiama i tuoi amichetti e gridate pure, tutti in coro: “Manicomio! Manicomio!”. Non uscirete da questo Casino, senza prima avere pagato. Ti sbarro il passo io per prima, da gran Puttana e Fiera di essere il Personaggio in Persona. Ascolta bene, con attenzione, chi canta per quella Puttana di Emma, per ogni Puttana che Impersona, perché tu paga – che noi si prega. Siamo tutti qui per salmodiare il vangelo dell’Iguana: Tu che mi affoghi gli occhi senza fine Tu sei felice quando divento una furia Tu non mi ami, ma non mi lascerai stare Non mi amate, ma non mi lasciate essere Non sei mai stanco di farmi male? Non siete mai stanchi di ferirmi? Devi essere davvero convinto che il sorriso NON MI DONI perché in tutto questo tempo non hai mai permesso che ne vestissi NEANCHE uno – un solo sorriso Penso, provo, ripenso come può essere… Metallo freddo, questo pomeriggio È meglio, meglio salvare un albero… Non sprecare carta, tempo, fiato. Abbiamo ascoltato: predicatori e coglioni, geni e babbei, fornitori e fruitori. Abbiamo assorbito: ogni genere di profezia, di prognosi, di postumi. Abbiamo esaurito tutti gli esempi. Avete distrutto i nostri futuri, appestato i nostri presenti per la gloria delle vostre gengive in bella mostra. Ci avete buttato nell’arena per divertirvi, per distrarvi. E i nostri cadaveri puzzano più degli altri, ammorbano l’aria perché non muoiono. Siamo già morti. Siamo i vostri incubi. Potete giurarci: avremo la nostra vendetta. E pagherete con la vita: una vita lunga, lunghissima, infinita,… Vivrete tanto, così tanto, da non poterne più! Lunga vita! Lunga vita a voi! La vita più lunga possibile perché ogni giorno e ogni notte dovrete pagare. Pagherete gli occhi di Luigi e di Luigi, gli occhi di Kurt e di Karen, di Cesare e di Emilio, di Anne e di Sid, e di tutti – quelli che avete succhiato e sputato! Vi è piaciuto? Ora leccate bene la canna del Metallo, sentite il sapore della polvere, sentite che è ancora caldo, sentite che è un rosso fresco, e vi tremi la vita che ci avete negato: E vi saluto, e vi chiedo come state? E vi mando un sorriso! Non sprecate il fiato è fiato sprecato NON spreco il mio odio – per voi NON sprecherò questo mio odio NON spreco il mio odio – per te credo che lo durerò per me niente più macelli, non più non ho più tempo per aiutarti a fare punti credo sia tempo di fare: come più ti piace come vi pare… Buongiorno. Com’è? E vi lascio un sorriso! Non sprecate il fiato è fiato sprecato Non sprecherò il mio odio – per voi Non sprecate il fiato è fiato sprecato Non spreco il mio odio – per voi Non sprecherò questo mio odio Non spreco il mio odio – per te Astio! Fiele! Odio! Bile! Disprezzo! Adesso, credi di essere – degno? [credi DAVVERO di esserne degno?] Credi che basti alzare la fronte e ridere e sussultare quella bifida corona? Levati il cappello – e conta gli schizzi di sangue! Hai il corpo coperto di sangue, gromme di coaguli. Secchi. Li vedi? Li sai chiamare per nome? Come puoi dormire? Se mi spacchi le ossa, se mi cavi il cuore, se mi spari alle gambe e mi tagli la gola, come puoi non sapere il mio nome? Come puoi non sentire il Bene che ti denuncia: ‘sono anni che prendo a calci in culo me stesso. Così mi son fatto fuori!’. Come puoi dormire quando Kurt prende a testate il Marshall? Come potete dormire quando Emilio vi ricorda: ‘a voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna’. Come si può? Non ho mai capito come, ma continuate a dormire, da bravi. Fate la nanna, vi siete lavati i denti? Da bravi, continuate a dormire, che vi rimbocco le coperte. Da bravi, avete spento tutte luci? Fate i bravi e dormite sereni, riposate che la scuola è finita. Domani niente sveglia, da bravi, ragazzi, posate il pallone e andate a dormire. Da brave, ragazze, smettetela con queste fantasie e andate a dormire. Dormite, continuate a dormire, avete detto le vostre preghiere? Dormite, dormite, tornate a dormire: è stato solo un brutto incubo. Chiara Daino [The eye that sees / Beyond it's time / Beyond the future] 

Beppe Costa sceglie “Esorcismi da libraio” di Alessandra Buttiglieri*

*Alessandra Buttiglieri è nata nel 1991 e vive a Gioiosa Jonica, un paese della Locride provincia di Reggio Calabria. La sua scrittura nasce fin da bambina come diletto e via via si trasforma, in maniera quasi ossessiva-istintiva-naturale, in una scelta di vita; la sola scelta possibile. Ha scritto diverse liriche, racconti, egloghe. Uno dei suoi testi fa parte dell’antologia del Premio “Cose a parole” edito da Perrone Lab.

Molto della sua essenza si può trovare sul sito
www.letterando.info

Nella foto Alessandra Buttiglieri ----->>>

Ma che dire, a lei la parola e a voi la lettura...

(A cura di Mariaelisa Giocondo)

Esorcismi da libraio


C’è solo un momento nella vita di uno scrittore in cui valga la pena sforzarsi d'indossare una cravatta, di pettinarsi.

E’ il momento dell’esorcismo, delle mani premute a silenzio alla bocca dello Stivale, rotto, che ci mantiene scomodi come malattie, lievemente sdegnoso di noi.

Anteriori a certe realtà, vien difficile capirsi, crederci.

Fango su fango si seppelliscono le memorie, ma certe presenze, è certo, sono così perpetue che nemmeno la morte stessa, sfiancandosi correndo, le raggiunge decretando il macabro momento.

Nello sgomento editoriale, tra le gomitate a trabocchetto, delle traduzioni ostentate di egocentrici finti, santoni dell’immaginario letterario, si omettono i neri nomi della vera storia poetica, si martoria la cultura e straripano le minchiate dei fedelissimi moccini che non sanno proprio più dove mettersi i lucchetti con i quali s’ipotizza un amore patetico, si saltella tra età disgiunte e si fa il pieno di fantomatici romanticismi scontati, banali, triti e impastati, vomitati da bocca in bocca in quella scempiaggine giornaliera di “xk” o “cmq”.

Ma i soldati librai ancora si battono, mietendo vendetta, chiedendo riscatti, sostegni, scacciando la possibile paura di morire di fame, nell’isolamento termico condotto dalle malagevoli figure di scrittori (quelli veri) a cui si cerca di strappare e rapire la parola, che vive e muore in un attimo, bombardata dalla falsata libertà, censura buffonesca per bambocci impauriti che strumentalizzando la malleabile stupidità italiana, riducendo le cose belle all’osso, sporcano qualsiasi cosa possa salvare, salvarci.

Impigliati, sgattaiolate dentro la vostra insensatezza, quell’inutilità padrona che soverchia le vostre menti, incolte, concimate a imporrare prematuramente.

Si muore oggi, anche per stupidità.

Ma non muoiono di certo le voci bianche di uno scabroso Bellezza, dell’isolata Ortese, dell’insolente Pasolini e di tutti gli accenti letterari che rendono meritevole il disappunto dei critici.

La letteratura è un posto triste, in cui ci si accoccola piangendo, appesi alle pagine di un libro, calvinamente alla ricerca della posizione adatta che renda più comodo il trapasso del lettore (quello vero).


di Alessandra Buttiglieri

Lettera al direttore de IL GIORNALE, Mauro Giordano... mai pubblicata...

Ci sono due cose che non sopporto nell’ambito della cultura italiana contemporanea: una è la presenza di una lunga lista di persone che a prescindere si schiera dalla parte del padrone, o difendendolo ostinatamente, o attaccando quelle persone che con le loro parole si posizionano entro una visione differente da quella del padrone; la seconda sono quelle persone che ancora, con la loro ristretta visione della poesia, perdurano nell’incessante denigrare il pubblico della poesia.
Nel mese di Maggio mi è capitato di assistere alla tragicomica reazione di una signora alle parole di Jack Hirschman, reazione che nel classico comportamento all’italiana è avvenuta nel momento in cui il poeta americano ha recitato l’arcano rom, testo dove attacca frontalmente il padrone. Ora, a distanza di poco più di un mese, mi capita di leggere questo articolo di Camillo Langone, autore che due anni fa ebbi modo di ascoltare nella mia città, a Mantova, e che, al tempo, mi incuriosì, devo ammetterlo, ma che ora incunea in me l’ennesimo fuocherello che da mesi alimenta in me un grande dubbio. Langone che sembra attaccare Mogol, ma che per farlo rispolvera i nomi di Giovanni Raboni e di Patrizia Valduga? Langone che cade nel pozzo senza fondo dove affoga il confronto poeta/cantautore? Langone che si fa voce della verità del poeta, una verità però tutta sua, che non coincide con la realtà? Langone che attacca milioni di “poetastri” dimenticandosi forse che proprio quelle persone sono la gran parte del pubblico della poesia? Vorrei sia chiaro che non è assolutamente mia intenzione scontrarmi col signor Camillo, poiché non vorrei ne apparire come il Peppone della situazione, ne addentrarmi in una discussione su un festival che non ho visto; è chiaro però che le sue parole, volendo o non volendo, mi portano purtroppo alla solita conclusione.

È troppo facile per Camillo Langone, pubblicato da Mondadori, attaccare Raboni a posteriori e Valduga, se teniamo in considerazione che gli Ultimi versi sono stati prima rifiutati da Einaudi, per i motivi che sappiamo, e in seguito pubblicati da un altro editore. Avrebbe fatto lo stesso Langone se non fosse stato in Mondadori? Sarei perciò curioso di sapere cosa ha fatto nascere in lui questo fastidio nei confronti di Valduga e Raboni, e Mogol, perché dal suo articolo non è molto chiaro dove voglia arrivare, e un lettore leggermente più attento della media potrebbe con estrema tranquillità ricollegare il tutto al solito, per altro troppo diffuso, servilismo giornalistico, che alla luce dei recenti fatti einaudiani, aventi per protagonisti autori come Saramago, Belpoliti e Cordelli, lascia intendere una linea editoriale sempre più chiusa ad ogni altra idea che non sia quella del padrone. Vorrei che Camillo Langone mi spiegasse al meglio questa sua ostilità nei confronti di quelli che chiama “poetastri”, capire chi sono, se io stesso devo definirmi tale, e chi l’autorizza a fare un’osservazione simile nei confronti di tante persone. Vorrei anche sapere cosa ne pensa di questa politica editoriale, se è vero che esiste, come vorrei sapere perché tanto lo infastidiscano i comportamenti di Mogol, l’opinione della Valduga e le poesie di Raboni. Vorrei chiedergli se forse ha paura delle poesie di Raboni sul cavalier menzogna, perché se così fosse ne sarei veramente felice, sarebbe il segnale che finalmente la figura del poeta sta forse tornando a far paura a quei potenti che gli danno, a Langone, la possibilità di continuare a scrivere su un quotidiano. Ma vorrei che le spiegasse bene queste cose, con la giusta onestà intellettuale, perché altrimenti le sue critiche sarebbero soltanto provocazioni gratuite, fatte da un autore che poeta non è, sperando che questa mia “classificazione” non lo offenda. Personalmente mi ritengo più che soddisfatto di quel poco che sino ad ora ho fatto nell’ambito della poesia, testi a verso libero inclusi. Ritengo invece che l’ostinarsi a proseguire in questo modo, su un quotidiano, un’argomentazione come la poesia, così trattata, sia cosa pressoché inutile. Non crede che forse sarebbe stato più utile ed interessante, al di là del fatto che critiche simili a quelle da lui fatte possono sì attirare maggiormente l’attenzione sull’autore dell’articolo, scrivere un articolo che esaltasse le cose positive del festival di Parma? In quel caso si sarebbe certamente evitato di scadere, come credo sia accaduto, nel banale e scontato giornalismo inconcludente.

Andrea Garbin