BEPPE COSTA SCEGLIE: "Donne d'Amare" con Beatrice Niccolai e Carlina Torta
Sabato 19 dicembre alle 21:15 - alla libreria art cafè "Aspettando Hemingway" di Prato - Via Del Carmine, 15 Beatrice Niccolai sarà con Carlina Torta in una performance di teatro e parole "Donne (d') Amare".
Alcune scene dello spettacolo di Carlina Torta di "Amaramore" si intrecceranno con parole di Beatrice Niccolai.
Con loro, Aldo Gentileschi alla fisarmonica.
Dalle 20:00 apericena.
Infoline info@aspettandohemingway.it
tel. 380 6808732
L'ingresso è gratuito.
Beppe Costa sceglie: Rosario Arizza
Rosario Arizza: “poeta dell’anima”
Conquistare l'arte, distruggerla, farla a pezze. D'incanto riportarla in vita. Nuova. Tutta per sé.
Quest'arte che nasce, cresce, si trasferisce e dipana al resto del mondo.
Quell'arte spesso indesiderata dal cieco potere che sovrasta e, a ogni secolo tenta di farla 'sparire'.
Quest'arte resta, viva e vita fra noi, a dirci e darci quando, come e chi eravamo.
Poi con la potenza di un antico passato torna, si trasforma, si arricchisce e, improvvisamente la ritroviamo nelle stanze di una piccola via di Avola, ricca di storia e di mura colme del respiro che vi regna.
Lì, un uomo, dipinge il suo io e l'altro che sogna, vede, intuisce, studia.
Col cuore e la mente e ritrova quell'unica realtà che del vivere vale la pena. E che dire se, chiuso il una stanza con tele grandi, medie o piccole, noi, io, ne scopro mondo e umore.
E, di colpo, mi sento trasportare in vicoli nebbiosi di città austriache, spagnoli, francesi, portoghesi.
Sogno con sprazzi di luce, con cieli appena accennati e guardo, ritrovandomi in mondi lontani e diversi ma riconoscibili per chi nei libri ha vissuto e vive.
Pochi i pittori (ovvero gli artisti) che sono un tutt’uno con la propria opera.
Senza soffermarmi a quanto già detto in maniera esaustiva da Jean Manuel Bonet su Rosario Arizza, vorrei spiegare la funzione di colui che arte produce, ovvero se dentro chi scrive, suona, dipinge, ci sia o si possa identificarne l’opera attraverso tre importanti elementi: cultura, carattere e luogo in cui vive.
Se cultura e carattere camminano di pari passo ciò che vive (orrore o sogno, poesia o vita che violenta luoghi, persone, politica, è facile accostarsi con occhio preciso alle opere di Rosario Arizza. E alla sua anima.
Chi ha visto il film di Georges Clouzot “Il mistero Picasso” non ha alcuna difficoltà a comprendere ciò che intendo.
Grande tele come violentate da colori a volte forti , tal altre delicate non sono che la condizione umana di un artista ‘mediterraneo’: il mare azzurro con vista d’un infinito universo e il contrasto del vivere in Sicilia (stupendo direbbe il turista nel guardare i luoghi d’Avola, o la monumentale vicina Noto o nel tuffarsi nel mare solitario e nascosto dei luoghi più belli della città); laddove però da anni o forse da sempre l’artista (e non solo lui, ma per lui è più che necessario), è costretto a migrare: il malgoverno e le ‘frustrazioni’ nel constatarlo, provocano quel rigetto che ti porta ad amare ma, al tempo stesso produrre (mi scuso per questa parola apparentemente poco appropriata, nell'impressione che si possa definire troppo e solamente commerciale), quotidianamente il motivo proprio dell'esistere, dell'essere. Poiché tale affermazione non pare sia possibile adattarla ad un artista 'scomodo', in quanto colto, in quanto polemico con il malessere che vede circondarlo.
Le opere allora appaiono i suoi paesaggi, intravisti e frequentati, dell'anima. E a chi guarda non rimane che cercare di compiere il suo stesso viaggio. Capirà allora cosa possa voler dire la padronanza del 'colore'. Non quello che si compra in merceria, ma quello della propria giornata, stagione, vita.
Rosario Arizza nasce (1950), vive e lavora ad Avola in provincia di Siracusa. Diplomato all'Istituto d'Arte di Siracusa,so è dedicato subito alla pittura astratta. Dal 1992 al 1993 halavorato in Germania e a Parigi. Nel 2001 invitato a Gibellina ha realizzato 10 opere che oggi sono conservate al Museo d'Arte Contemporanea. Nell'ultimo catalogo Voice of a Soul,qui di seguito alcuni passi del testo di Joe Camilleri:
"I dipinti di Rosario Arizza sono l'espressione di un viaggio esteriore parallelo ad uno interiore nell'io. Passate e attuali esperienze si fondono con una futura visione di un mondo che è sia personale che collettivo. E' suo quanto è nostro. E' un mondo di contrasti estremi, di lirica bellezza e dura realtà, di organizzata collaborazione e di caotici conflitti. Arizza è stato definito o classificato come un espressionista astratto. Al primo sguardo i suoi dipinti trasmettono una sensazione primordiale. Essi ci portano indietro nel tempo e nello spazio a visioni di caotica materia slegata, energia e forza. Fuori da tutto ciò, organizza un ordine visuale di forme, crea ritmi poetici ed orchestrate armonie cromatiche. Rosario Arizza è stato collegato a Art Informel, termine coniato nel 1950 e più tardi applicato ai pittori dell'espressionismo astratto specialmente dove - la forma diveniva soggetta agli impulsi espressivi dell'artista - . Egli può essere indebitato con Jackson Pollock per il suo ritmico fluire di pittura. E' anche stato collegato a Willem De Kooning può darsi per una certa pennellata agitata. E' un artista nella propria onestà con le proprie visioni, la sua personale interazione con la vita e con le proprie sensazioni intime. La sua arte rispecchia tutto ciò. Dopotutto, come l'artista svizzero Paul Klee asseriva, 'L'arte non riproduce il visibile, piuttosto lo rende visibile'.
Conquistare l'arte, distruggerla, farla a pezze. D'incanto riportarla in vita. Nuova. Tutta per sé.
Quest'arte che nasce, cresce, si trasferisce e dipana al resto del mondo.
Quell'arte spesso indesiderata dal cieco potere che sovrasta e, a ogni secolo tenta di farla 'sparire'.
Quest'arte resta, viva e vita fra noi, a dirci e darci quando, come e chi eravamo.
Poi con la potenza di un antico passato torna, si trasforma, si arricchisce e, improvvisamente la ritroviamo nelle stanze di una piccola via di Avola, ricca di storia e di mura colme del respiro che vi regna.
Lì, un uomo, dipinge il suo io e l'altro che sogna, vede, intuisce, studia.
Col cuore e la mente e ritrova quell'unica realtà che del vivere vale la pena. E che dire se, chiuso il una stanza con tele grandi, medie o piccole, noi, io, ne scopro mondo e umore.
E, di colpo, mi sento trasportare in vicoli nebbiosi di città austriache, spagnoli, francesi, portoghesi.
Sogno con sprazzi di luce, con cieli appena accennati e guardo, ritrovandomi in mondi lontani e diversi ma riconoscibili per chi nei libri ha vissuto e vive.
Pochi i pittori (ovvero gli artisti) che sono un tutt’uno con la propria opera.
Senza soffermarmi a quanto già detto in maniera esaustiva da Jean Manuel Bonet su Rosario Arizza, vorrei spiegare la funzione di colui che arte produce, ovvero se dentro chi scrive, suona, dipinge, ci sia o si possa identificarne l’opera attraverso tre importanti elementi: cultura, carattere e luogo in cui vive.
Se cultura e carattere camminano di pari passo ciò che vive (orrore o sogno, poesia o vita che violenta luoghi, persone, politica, è facile accostarsi con occhio preciso alle opere di Rosario Arizza. E alla sua anima.
Chi ha visto il film di Georges Clouzot “Il mistero Picasso” non ha alcuna difficoltà a comprendere ciò che intendo.
Grande tele come violentate da colori a volte forti , tal altre delicate non sono che la condizione umana di un artista ‘mediterraneo’: il mare azzurro con vista d’un infinito universo e il contrasto del vivere in Sicilia (stupendo direbbe il turista nel guardare i luoghi d’Avola, o la monumentale vicina Noto o nel tuffarsi nel mare solitario e nascosto dei luoghi più belli della città); laddove però da anni o forse da sempre l’artista (e non solo lui, ma per lui è più che necessario), è costretto a migrare: il malgoverno e le ‘frustrazioni’ nel constatarlo, provocano quel rigetto che ti porta ad amare ma, al tempo stesso produrre (mi scuso per questa parola apparentemente poco appropriata, nell'impressione che si possa definire troppo e solamente commerciale), quotidianamente il motivo proprio dell'esistere, dell'essere. Poiché tale affermazione non pare sia possibile adattarla ad un artista 'scomodo', in quanto colto, in quanto polemico con il malessere che vede circondarlo.
Le opere allora appaiono i suoi paesaggi, intravisti e frequentati, dell'anima. E a chi guarda non rimane che cercare di compiere il suo stesso viaggio. Capirà allora cosa possa voler dire la padronanza del 'colore'. Non quello che si compra in merceria, ma quello della propria giornata, stagione, vita.
Beppe Costa
Rosario Arizza nasce (1950), vive e lavora ad Avola in provincia di Siracusa. Diplomato all'Istituto d'Arte di Siracusa,so è dedicato subito alla pittura astratta. Dal 1992 al 1993 halavorato in Germania e a Parigi. Nel 2001 invitato a Gibellina ha realizzato 10 opere che oggi sono conservate al Museo d'Arte Contemporanea. Nell'ultimo catalogo Voice of a Soul,qui di seguito alcuni passi del testo di Joe Camilleri:
"I dipinti di Rosario Arizza sono l'espressione di un viaggio esteriore parallelo ad uno interiore nell'io. Passate e attuali esperienze si fondono con una futura visione di un mondo che è sia personale che collettivo. E' suo quanto è nostro. E' un mondo di contrasti estremi, di lirica bellezza e dura realtà, di organizzata collaborazione e di caotici conflitti. Arizza è stato definito o classificato come un espressionista astratto. Al primo sguardo i suoi dipinti trasmettono una sensazione primordiale. Essi ci portano indietro nel tempo e nello spazio a visioni di caotica materia slegata, energia e forza. Fuori da tutto ciò, organizza un ordine visuale di forme, crea ritmi poetici ed orchestrate armonie cromatiche. Rosario Arizza è stato collegato a Art Informel, termine coniato nel 1950 e più tardi applicato ai pittori dell'espressionismo astratto specialmente dove - la forma diveniva soggetta agli impulsi espressivi dell'artista - . Egli può essere indebitato con Jackson Pollock per il suo ritmico fluire di pittura. E' anche stato collegato a Willem De Kooning può darsi per una certa pennellata agitata. E' un artista nella propria onestà con le proprie visioni, la sua personale interazione con la vita e con le proprie sensazioni intime. La sua arte rispecchia tutto ciò. Dopotutto, come l'artista svizzero Paul Klee asseriva, 'L'arte non riproduce il visibile, piuttosto lo rende visibile'.
Marcella Testa presenta “Come una nebulosa” - sabato 19.12.09 - ore 19.00
Come una nebulosa è un atlante delle emozioni perdute, di quelle recuperate e di quelle ancora da provare. È un viaggio tra metamorfosi mancate e nostalgie di incontri mai avvenuti, tra l’ancestrale paura della morte, il bisogno di Dio e la trappola della incomunicabilità. Il tutto emerge dall’invisibile che sembra niente e l’invisibile esplode nel quotidiano in un urlo liberatorio che si perde in lontani e sperduti universi. Con sguardo ingenuo e ironico che esorcizza il disincanto, l’infinitamente piccolo e l’immenso si sfiorano senza confondersi, fino alla scoperta che respiriamo tutti un unico soffio di vento.
Sabato prossimo, il 19 dicembre a Torre Annunziata (NA) presso il caffè letterario "Nuovevoci" in Via Gambardella n.13 bis, Marcella Testa presenta la sua raccolta di poesie “Come una nebulosa”, edizioni Montag.
In anteprima il booktrailer ispirato dalla silloge, realizzato, girato e montato da Emilio Daniele - Attrice: Nancy Tortora
Beppe Costa incontri: personale di Isabella Angelini
Sabato 25 febbraio ore 17,30
inaugurazione della personale di
Isabella Angelini
Quante volte da bambini davanti a un libro di Fiabe illustrato siamo andati con la fantasia oltre il racconto?
Non è forse quello che continuiamo a fare da adulti quando l'immagine di un dipinto cattura la nostra attenzione?
Per questo motivo l’Arte Liberata insieme a Pellicanolibri è lieta di presentare Isabella Angelini,
perché attraverso le sue tele si può ancora viaggiare in un mondo onirico fatto di atmosfere, di luci, penombre e personaggi fiabeschi.
La pittura Fantastica poco conosciuta in Italia e molto diffusa invece nei paesi anglosassoni contiene anche del simbolismo in cui alcune volte soggetti reali si muovono in contesti apparentemente illogici, altre volte figure analogiche in situazioni reali e possibili che a un buon osservatore rimandano a significati e significanti psichici piuttosto intriganti.
Il pensiero dell'artista che si materializza al di fuori di ogni preoccupazione di comprensione immediata e di impaginazione scontata, in una cornice scenografica magnifica dalla tecnica pittorica fine a se stessa assolutamente curata.
Il pensiero dell'artista libero di vagare fra le idee conscie e inconsce.
Una sorta di Surrealismo nel momento in cui contempla associazioni di figure inconsuete apparentemente estranee fra loro.
Immagini che sanno di fiaba e che forse questo vogliono essere... ma non sono le fiabe per caratteristica propria la forma di surrealismo più arcaica... prima ancora che la parola surrealismo diventasse l'icona di un un movimento artistico?
Ecco allora che l'arte di Isabella non è collocabile in un ismo preconfezionato ma si caratterizza per un personalissimo modo che di ismi ne comprende più d'uno a seconda di come si predispone l'animo di chi osserva.
Non resta che lasciar fluire le emozioni viaggiando fra le sue figure con il gusto e lo stupore di un bimbo che apre un libro di fiabe, con la leggerezza dell'incanto e insieme l'inquietudine del dubbio.
Antonella Meloni Corsini
da Pellicanolibri
via Gattico 3 - 00166 Roma
tel 0661563181
fino al 15 marzo 2012
BEPPE COSTA SCEGLIE: ANTONIA POZZI (IN RIVA ALLA VITA), LETTURE DI CHIARA DAINO
3 Dicembre 2009 - ANTONIA POZZI* [In riva alla vita], Vercelli
Giovedì 3 dicembre, alle ore 21, Chiara Daino leggerà sul palco di Parola all’Autore - Letteratura come vita, dedicato ad Antonia Pozzi - In riva alla vita, presso il Salone Dugentesco di Vercelli.
Dialoghi: Alessandra Cenni, Piergiorgio Fossale.
Chitarre: Giovanni Protti, Sergio Sorrentino.
*
ANTONIA POZZI (1912-1938) Quando Antonia Pozzi nasce è martedì, 13 febbraio 1912: bionda, minuta, delicatissima, tanto da rischiare di non farcela a durare sulla scena del mondo; ma la vita ha le sue rivincite e Antonia cresce: è una bella bambina, come la ritraggono molte fotografie, dalle quali sembra trasudare tutto l’amore e la gioia dei genitori, l’avvocato Roberto Pozzi, originario di Laveno, e la contessa Lina, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola, proprietari di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a, Bereguardo. Il 3 marzo la piccola viene battezzata in San Babila ed eredita il nome del nonno, primo di una serie di nomi parentali (Rosa, Elisa, Maria,Giovanna, Emma), che indicherà per sempre la sua identità. Antonia cresce, dunque, in un ambiente colto e raffinato: il padre avvocato, già noto a Milano; la madre, educata nel Collegio Bianconi di Monza, conosce bene il francese e l’inglese e legge molto, soprattutto autori stranieri, suona il pianoforte e ama la musica classica, frequenta la Scala, dove poi la seguirà anche Antonia; ha mani particolarmente abili al disegno e al ricamo. Il nonno Antonio è persona coltissima, storico noto e apprezzato del Pavese, amante dell’arte, versato nel disegno e nell’acquerello. La nonna, Maria, vivacissima e sensibilissima, figlia di Elisa Grossi, a sua volta figlia del più famoso Tommaso, che Antonia chiamerà “Nena” e con la quale avrà fin da bambina un rapporto di tenerissimo affetto e di profonda intesa. Bisogna, poi, aggiungere la zia Ida, sorella del padre, maestra, che sarà la compagna di Antonia in molti suoi viaggi; le tre zie materne, presso le quali Antonia trascorrerà brevi periodi di vacanza tra l’infanzia e la prima adolescenza; la nonna paterna, Rosa, anch’essa maestra, che muore però quando Antonia è ancora bambina. Nel 1917 inizia per Antonia l’esperienza scolastica: l’assenza, tra i documenti, della pagella della prima elementare, fa supporre che la bimba frequenti come uditrice, non avendo ancora compiuto i sei anni, la scuola delle Suore Marcelline, di Piazzale Tommaseo, o venga preparata privatamente per essere poi ammessa alla seconda classe nella stessa scuola, come attesta la pagella; dalla terza elementare, invece, fino alla quinta frequenta una scuola statale di Via Ruffini. Si trova, così, nel 1922, non ancora undicenne, ad affrontare il ginnasio, presso il Liceo-ginnasio “Manzoni”, da dove, nel 1930, esce diplomata per avventurarsi negli studi universitari, alla Statale di Milano. Gli anni del liceo segnano per sempre la vita di Antonia: in questi anni stringe intense e profonde relazioni amicali con Lucia Bozzi ed Elvira Gandini, le sorelle elettive, già in terza liceo quando lei si affaccia alla prima; incomincia a dedicarsi con assiduità alla poesia, ma, soprattutto, fa l’esperienza esaltante e al tempo stesso dolorosa dell’amore. È il 1927: Antonia frequenta la prima liceo ed è subito affascinata dal professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi; non dal suo aspetto fisico, ché nulla ha di appariscente, ma dalla cultura eccezionale, dalla passione con cui insegna, dalla moralità che traspare dalle sue parole e dai suoi atti, dalla dedizione con cui segue i suoi allievi, per i quali non risparmia tempo ed ai quali elargisce libri perché possano ampliare e approfondire la loro cultura. La giovanissima allieva non fatica a scoprire dietro l’ardore e la serietà, nonché la severità del docente, molte affinità: l’amore per il sapere, per l’arte, per la cultura, per la poesia, per il bello, per il bene, è il suo stesso ideale; inoltre il professore, ha qualcosa negli occhi che parla di dolore profondo, anche se cerca di nasconderlo, e Antonia ha un animo troppo sensibile per non coglierlo: il fascino diventa ben presto amore e sarà un amore tanto intenso quanto tragico, perché ostacolato con tutti i mezzi dal padre e che vedrà la rinuncia alla “vita sognata” nel 1933, “non secondo il cuore, ma secondo il bene”, scriverà Antonia, riferendosi ad essa. In realtà questo amore resterà incancellabile dalla sua anima anche quando, forse per colmare il terribile vuoto, si illuderà di altri amori, di altri progetti , nella sua breve e tormentata vita. Nel 1930 Antonia entra all’Università nella facoltà di lettere e filosofia; vi trova maestri illustri e nuove grandi amicizie: Vittorio Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio, per citarne alcune; frequentando il Corso di Estetica, tenuto da Antonio Banfi, decide di laurearsi con lui e prepara la tesi sulla formazione letteraria di Flaubert, laureandosi con lode il 19 novembre 1935. In tutti questi anni di liceo e di università Antonia sembra condurre una vita normalissima, almeno per una giovane come lei, di rango alto- borghese, colta, piena di curiosità intelligente, desta ad ogni emozione che il bello o il tragico o l’umile suscitano nel suo spirito: l’amore per la montagna, coltivato fin dal 1918, quando ha incominciato a trascorrere le vacanze a Pasturo, paesino ai piedi della Grigna, la conduce spesso sulle rocce alpine, dove si avventura in molte passeggiate e anche in qualche scalata, vivendo esperienze intensissime, che si traducono in poesia o in pagine di prosa che mettono i brividi, per lo splendore della narrazione e delle immagini; nel 1931 è in Inghilterra, ufficialmente per apprendere bene l’inglese, mentre, vi è stata quasi costretta dal padre, che intendeva così allontanarla da Cervi; nel 1934 compie una crociera, visitando la Sicilia, la Grecia, l’Africa mediterranea e scoprendo, così, da vicino, quel mondo di civiltà tanto amato e studiato dal suo professore e il mondo ancora non condizionato dalla civiltà europea, dove la primitività fa rima, per lei, con umanità; fra il 1935 e il 1937 è in Austria e in Germania, per approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura tedesca, che ha imparato ad amare all’Università, seguendo le lezioni di Vincenzo Errante, lingua che tanto l’affascina e che la porta a tradurre in italiano alcuni capitoli di “Lampioon”, di M. Hausmann. Intanto è divenuta “maestra” in fotografia: non tanto per un desiderio di apprenderne la tecnica, aridamente, quanto perché le cose, le persone, la natura hanno un loro sentimento nascosto che l’obiettivo deve cercare di cogliere, per dar loro quell’eternità che la realtà effimera del tempo non lascia neppure intravedere. Si vanno così componendo i suoi album, vere pagine di poesia in immagini. Questa normalità, si diceva, è, però, solamente parvenza. In realtà Antonia Pozzi vive dentro di sé un incessante dramma esistenziale, che nessuna attività riesce a placare: né l’insegnamento presso l’Istituto Tecnico Schiaparelli, iniziato nel ‘37 e ripreso nel ’38; né l’impegno sociale a favore dei poveri, in compagnia dell’amica Lucia; né il progetto di un romanzo sulla storia della Lombardia a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; né la poesia, che rimane, con la fotografia, il luogo più vero della sua vocazione artistica. La mancanza di una fede, rispetto alla quale Antonia, pur avendo uno spirito profondamente religioso, rimase sempre sulla soglia, contribuisce all’epilogo: è il 3 dicembre del 1938. Lo sguardo di Antonia Pozzi, che si era allargato quasi all’infinito, per cogliere l’essenza del mondo e della vita, si spegne per sempre mentre cala la notte con le sue ombre viola.
Biografia tratta da "Antonia Pozzi. Nelle immagini l'anima: antologia fotografica", a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino, Ancora, Milano 2007.
* * *
POESIE
In riva alla vita
Ritorno per la strada consueta,
alla solita ora,
sotto un cielo invernale senza rondini,
un cielo d'oro ancora senza stelle.
Grava sopra le palpebre l'ombra
come una lunga mano velata
e i passi in lento abbandono s'attardano,
tanto nota è la via
e deserta
e silente.
Scattano due bambini
da un buio andito
agitando le braccia:
l'ombra sobbalza
striata da un tremulo volo
di chiare stelle filanti.
Gridano le campane,
gridano tutte
per improvviso risveglio,
gridano per arcana meraviglia,
come a un annuncio divino:
l'anima si spalanca
con le pupille
in un balzo di vita.
Sostano i bimbi
con le mani unite
ed io sosto
per non calpestare
le pallide stelle filanti
abbandonate un mezzo alla via.
Sostano i bimbi cantando
con la gracile voce
il canto alto delle campane: ed io sosto
pensandomi ferma stasera
in riva alla vita
come un cespo di giunchi
che tremi
presso un'acqua in cammino.
Milano, 12 febbraio 1931
Preghiera alla poesia
Oh, tu bene mi pesi
l’anima, poesia:
tu sai se io manco e mi perdo,
tu che allora ti neghi
e taci.
Poesia, mi confesso con te
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai,
tu lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato d’oro
che fu mio cuore,
ho rotto l’erba,
rovinata la terra –
poesia – quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi canti,
dove un mattino per la prima volta
vidi volar nel sereno l’allodola
e con gli occhi cercai di salire –
Poesia, poesia che rimani
il mio profondo rimorso,
oh aiutami tu a ritrovare
il mio alto paese abbandonato –
Poesia che ti doni soltanto
a chi con occhi di pianto
si cerca –
oh rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi.
Pasturo, 23 agosto 1934
Un destino
Lumi e capanne
ai bivi
chiamarono i compagni.
A te resta
questa che il vento ti disvela
pallida strada nella notte:
alla tua sete
la precipite acqua dei torrenti,
alla persona stanca
l'erba dei pascoli che si rinnova
nello spazio di un sonno.
In un suo fuoco assorto
ciascuno degli umani
ad un'unica vita si abbandona.
Ma sul lento
tuo andar di fiume che non trova foce,
l'argenteo lume di infinite
vite – delle libere stelle
ora trema:
e se nessuna porta
s'apre alla tua fatica,
se ridato
t'è ad ogni passo il peso del tuo volto,
se è tua
questa che è più di un dolore
gioia di continuare sola
nel limpido deserto dei tuoi monti
ora accetti
d'esser poeta.
13 febbraio 1935
FONTE: http://www.antoniapozzi.it/
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