Nisan -International Poetry Festival 13 -Maghar, Israel


La poesia è braccia movimento mani e soprattutto sguardi: quelle sensazioni di essere visto, compreso, abbracciato come difficilmente accade anche agli amanti più solerti.
Questo è stato l’impatto, primo e non ultimo che sento addosso ancora molti giorni dopo il mio\nostro viaggio in Israele al Nisan Poetry di Maghar.
Il fondatore Naim Araidi con il fotografo Aeal Harob.

Festival nato durante la seconda Intifada (Al-Aqsa) in Gerusalemme, luogo conteso sia da ebrei che musulmani, per volontà del poeta (oggi diventato anche Ambasciatore per la Nuova Zelanda) Naim Araidi che iniziò nella propria abitazione ad invitare poeti arabi palestinesi, arabi israeliani e man mano altre voci provenienti sia dal mondo arabo mediorientale che dalle altre parti del pianeta. Così si sono succeduti poeti americani, inglesi, norvegesi fino ad autori provenienti dall’antica Cina.
Così, un po’ per caso e su segnalazione di un amico comune ci siamo ritrovati a “godere” di quelle braccia, voci, sguardi cui accennavo prima.

Non nascondo un certo timore ogni volta che sento di avvicinarmi ad altri linguaggi a me sconosciuti (in special modo all’arabo e all’ebraico, oltreché, naturalmente all’inglese). Ma qui la sorpresa e la fortuna: quasi tutti e con quasi tutti non occorreva conoscere la lingua, non solo, ma diversi ospiti avevano avuto contatti con l’Italia, anzi  molti di questi credono ancora che il nostro paese sia una gran “voce” per la letteratura e per la poesia in particolare.
Nulla di più sbagliato. O forse è la mia\nostra angolazione particolare di frequentatori di libri che ci fa vedere il nostro paese ormai in fondo al precipizio di un linguaggio che non è più poetico, ma, forse, semplicemente bancario come se, improvvisamente, alla fine di una corsa stremante non ci si ricordasse più nemmeno come si fa a camminare; in molti luoghi e situazioni, abbiamo l’impressione, non sia più ben chiaro quale sia lo scopo della poesia. Questo spesso lo si riconosce in chi, per assurdo, si definisce poeta. In Israele, a parte qualche caso, è rinata nuova e forte l’idea di una poesia che si vede guardiana del mondo, pronta a gridare gli allarmi di minacce incombenti. Altro argomento è sapere o capire se quel tipo di linguaggio poetico viene ancora capito dal resto del mondo, oppure il tutto si è abituato a quella poesia che parla di fiorellini a primavera. Non solo da noi, certo.
Il poeta di Gaza Saeed Abo Tabnga

Detto questo, ciò che ci ha colpito maggiormente è stata una sorta di conferenza di un giornalista e scrittore giordano: Hanna Michael Salameh Numan (http://www.hannanuman.com/) che lamentava la situazione del proprio paese: l’emarginazione delle menti valide e colte contro la progressiva occupazione di giornali e televisioni dell’effimero e del banale. Così come in Italia e in molti paesi del mondo sta accadendo: non conta più l’essere quanto l’apparire.
Ciò che ha stupito è stato però l’intervento del poeta polacco (Presidente del sindacato scrittori) che ci è apparso come quello di un funzionario (magari del catasto) italiano: al dolore dell’intellettuale giordano ha risposto proponendo la creazione di un fondo per stampare e diffondere i libri di ‘noi’ poeti. Insomma una nota stonata che fra braccia, mani e sguardi non c’entrava proprio per niente.
Chiara e immediata la nostra reazione; davanti alla tragedia che incombe su Israele e sul popoli arabi (in particolare sulla situazione palestinese) ascoltare l’esibizione dell’ospite polacco (Mark Wawrzkiewicz) lasciava quasi di stucco e, forse con molta irruenza, l’abbiamo (quasi) interrotto. Ma il pensiero, certo, rimane. La rappresentazione di poesia come rappresentazione di sé: vizio molto diffuso da noi e, a quanto pare, ha creato danni irreparabili, procurati da quelle persone che, fallite in altri campi, hanno visto nella poesia dei confini labili e indefiniti (a parere loro) e quindi uno spazio comodissimo per restare sulla cresta dell’onda sempre e comunque, a prescindere da muri di pietra, pane che manca e macerie ovunque come margherite prataiole a maggio. I poeti veri sanno benissimo qual è il ruolo della poesia e, come direbbe Giuseppe Goffredo “il poeta deve stare conficcato con la testa dentro la terra, lo deve fare per sentire come sta e che cosa accade veramente, anche se i media raccontano quello che più fa comodo”… chi non sta con la testa nella terra non può accorgersi di quello che succede e non può essere sentinella, fa semplicemente, qualcos’altro.
Alcuni poeti del Festival

Le letture si sono svolte in uno splendido teatro della scuola di Maghar e qui ecco che la lingua contava poco: il poeta di Gaza Saeed Abo Tabnga grande quanto il nostro appartamento ha sedotto con i gesti del proprio corpo e con la musicalità della propria voce l’intera sala. Scopriamo che vive a Gaza che coltiva la terra e quei giorni saranno per lui certamente memorabili: comunicare con una forza estrema la voglia di pace, giocando col colore nero della propria pelle. Il suo viso gioioso e umano al momento della partenza, del distacco, è mutato completamente.
Altri poeti, tutti sono via via apparsi sul palco del teatro o nel salone attrezzato dei ristoranti, dove è stata fatta una lettura in arabo delle nostre poesie.
Si sono succedute (a parte qualche attesa non voluta ma interminabile del pulmann che ci trasportava) visite a Gerusalemme, dove purtroppo dopo una lunga camminata per il Suq la polizia ci ha impedito di entrare alla spianata delle Moschee. Era l’ora della preghiera e avevamo fatto tardi, mentre l’amico poeta Giuseppe Goffredo si perdeva fra la folla.
Ecco Goffredo è stata una delle note delicate e divertenti del nostro viaggio. Non privi di tenerezze poetiche tanti altri: da Magda Carneci a Dan Mircea Cipariu a Fahredin Shehu a Mehmet Yashin fino a Hava Pinhas Cohen autrice ed editrice di Gerusalemme.
Il sindaco Fareed Ghanem ci ha accolto tutti in Comune, come mai potrebbe accadere in Italia, spiegando che il Festival nasce con gli spazi offerti dall’amministrazione e con soldi provenienti da amici poeti e non del fondatore Naim.
Dan Mircea Cipariu con Magda Carneci fra la platea.

Tanti gli ospiti e dieci lingue diverse in un suono che si spera possa giungere e raggiungere quegli uomini di guerra che sono ben lontani dall’umanità delle loro religioni, in un mondo che già esplode per la difficoltà di popoli che non sopravvivono per l’assenza di acqua e del poco pane del quale avrebbero bisogno e di quei bambini drogati e armati fino ai denti che un po’ più a sud da decenni si fanno una guerra folle.
Uomini senza dio o che lo rappresentano come arma puntata contro qualche altro dio apparentemente diverso.
Ecco, di Verso vorremmo parlare e del vero vorremmo si facesse sempre più portavoce un festival come questo, nato fra popoli in difficoltà dove Naim ed altri amici poeti arabi, palestinesi, ma anche ebrei israeliani hanno questo sogno di pace duratura. Mentre in ogni casa e a volte auto o negozio è appesa a sventolare una bandiera israeliana o araba.
Mentre cammini ti rendi conto che il paese è stupendo, simile al paesaggio del nostro sud, solo segnato da una o da un’altra bandiera che dovrebbe e vorremmo fosse unica.

Retrocopertina dell'antologia edita.
Che non accada come in altre parti del mondo dove pochi politici corrotti e inumani decidono che un popolo valga di più d’un altro e che la “scusa” delle persecuzione e delle tragedie già accadute non siano usate come armi per fare soggiacere e uccidere un altro popolo che ci vive a fianco come bestie, senza alcun diritto. A maggior ragione, questo festival ha infuocato la poesia soprattutto per il luogo in cui è avvenuto, per la sua storia. Il Nisan Poetry Festival ha reso chiaro e indiscutibile lo scopo della poesia anche agli occhi (si spera) di chi ha a cuore soltanto una colletta internazionale per stampare libri come fossero carte d’identità, quindi con come, cognome e nazione. Questo festival ha ridefinito i contorni della poesia e, come vasi comunicanti, ora la poesia deve ridare un volto sorridente a quella terra instabile.
Vorrei vedere negli occhi di Naim e di Moaen Shalabia (direttore artistico del festival) che il loro sogno di pace nella loro terra venga finalmente realizzato e, perché no, rivederli in un’altra occasione per poter ancora dir loro: grazie, شكرا, תודה, thanks.


Stefania Battistella e Beppe Costa

Collegamenti esterni:
Naim Araidi:  http://en.wikipedia.org/wiki/Naim_Araidi ;
Moaen Shalabia: http://en.wikipedia.org/wiki/Moaen_Shalabia;
Beppe Costa: http://en.wikipedia.org/wiki/Beppe_Costa;
Giuseppe Goffredo: http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Goffredo