Il becchino e
la scrittrice di beppe costa
Spesso gli
artisti hanno un becchino accanto che in trepidazione ne attende la fine.
Intesa come
morte, naturalmente.
A volte, i più
coraggiosi (ci sono coraggiosi anche fra i becchini) tentano tuttavia di anticiparla.
In vita non si
curano di ciò produce, sottraendo tutto quel che possono, dai soldi del
‘fumo’ al respiro del sole caldo perfino nel tramonto dell’ottobre romano.
Così fu questa
storia: malgrado qualcuno pensi che a provocare la morte della nostra
protagonista sia stato lo stesso suo uomo, marito, poco amante ed erede.
Forse
spingendola dolcemente giù per le scale, oppure porgendo allungando il braccio con l’ultima sigaretta di un pacchetto ormai vuoto, così che la nostra spingendosi in avanti ebbe a cadere.
E cadde giù
dalle scale dove rimase uno o due o addirittura tre giorni, prima che lui la
cercasse e ne desse allarme.
Così finì, o
almeno immagino finì la vita della grande scrittrice.
S’era dato
poco da fare lui, in verità. Le uniche ad aiutarla sono state qualche amico
fraterno, qualche femminista o post femminista e il portiere del palazzo di
casa.
Poche persone
per la verità e pochi libri editi fino alla morte.
Teatro, cinema
ormai erano solo un lontano ricordo di tanti anni prima.
L’ultima
rappresentazione la ricordava però: proprio lì, quando il marito, scadente
autore e attore, s’invaghì della bella cointerprete dello spettacolo.
Così da
portarla nella grande casa dove abitavano, consumando in tre quel poco che non
bastava per due.
Per questo il
becchino, affamato sempre più, avvenuta la sepoltura cominciò a chiamare tutti
gli amici di Gaudenzia, per vedere il da farsi: era inammissibile che la sua opera
venisse seppellita con Lei.
Fece e rifece,
stilò, riscrisse, sistemò documenti, lettere, saggetti e poesie, anche quelle
che facevano vergognare Gaudenzia, sebbene ormai a vita l’aveva addestrata a
non vergognarsi ormai di nulla.
Trovò amici,
complici in convegni, raduni, filmati e quanto potesse servire alla sua causa:
aveva aspettato tanto, con altrettanta fame addosso che adesso non ne poteva
più.
Piccoli
editori, poi il caso vuole che in Francia e in Austria comincia gradualmente e
col passaparola, specie fra i giovani, ad avere successo ed è l’inizio del
successo (quasi) mondiale per lui, naturalmente che amministra da quel giorno
dello scivolamento, ogni pizzino Gaudenzia avesse scritto.
Ma farà di
più: scrive e riscrive romanzi, aggiusta lettere inesistenti, scrive poesie al
femminile, modifica, amplia e inventa ciò che per anni teneva gelosamente in
testa.
Era nato e
finalmente! un caso: la più grande scrittrice italiana veniva
scoperta e pubblicata dal migliore editore italiano.
Ma perché
smettere?
La ‘mucca’ può
produrre di tutto e, se i grandi editori non vogliono, ci sono i cosiddetti
piccoli affamati e affannati per avere quel ‘nome’ in catalogo.
Così Gaudenzia
che aveva in verità scritto per tutta la vita ma sempre lavorando a due tre
romanzi e qualche verso, si ritrovò con centinaia di volumi all’attivo.
Lei morì
triste, sola e in povertà giù per le scale del paese amato, avendo scritto un capolavoro!
Il becchino
vive felice, ricco e contento (con altre attrici al fianco) e produce - come
qualche tempo prima aveva fatto il segretario di un noto pittore - e continuerà a produrre (immagino) opere in
quantità industriale.
Ne scrisse,
corresse e modificò tante che alla fine diventò uno scrittore ‘quasi’ bravo
anche lui.
Ci aveva
provato prima di incontrare la sua Gaudenzia.
Quanto lavoro
dà la morte ai becchini!
b. c.