Leggendo
autori che non conosco, a volte, mi vengono in mente questi versi di Jesus
Lopez Pacheco:
Edizioni Dot.com Press, pp. 76, € 10.00 |
“Sveglio mi colloco in ogni uomo
che dorme,
penetro nella sua memoria, nel suo
pigiama,
respiro la sua aria, la sua donna,
i suoi figli,
e non dormo più.”
Così
più volte prendo in mano il libro o i libri che ho disponibili. In questo caso
si tratta di Giovanni Fierro e de “Il riparo che non ho”.
Procedo
andando in ordine, poi torno alle prime pagine, mi soffermo su di una poesia in
particolare e noto l’ultima riga. Ricomincio di nuovo, mi soffermo. Mi prende,
afferra, temo e cerco di capire: mi trovo come in una stanza senza porte e
senza tetto (per questo forse intravedo il cielo, con la necessità delle sue
nuvole):
“Ogni volta mi auguro che ci siano sempre almeno un po’ di nuvole
[…]
[…] Prima vado a dormire
prima inizio a sognare.”
Proprio
quel riparo che l’autore non ha - o crede di non avere - lo porterà a scoprire
ogni ramo della propria esistenza, partendo dall’infanzia, scoprendosi nel
presente, arricchendosi di un futuro che, certo, lo renderà artista sempre più
completo e, proprio per questo, sempre più incerto e dubbioso, come un albero
che cresce e si rinforza grazie anche alle tempeste.
Finestre
che rimpiazzano porte, forse anche senza vetri - malgrado il titolo - per
evitare che la vista venga offuscata o dia riflessi:
Finestra con vetro
Sono nella casa nuova
a dipingere le pareti
mi accorgo che è da un po’
che da un uomo o da una donna
non sto imparando nulla.
Cosa sono di me
allora, mi domando.
Nel mio non sapere
incomincio ad invidiare
questo vetro di questa finestra
così vorrei essere
un qualcosa, che divide il dentro
dal fuori
la si può aprire per cambiare l’aria
(mi aiuta a respirare meglio)
un niente, che permette di guardare
attraverso
ma che ha lo spessore necessario
per lasciare in superficie
la sporcizia
basta un grado di obliquità e diventa specchio
non perde la profondità.
Ma ogni volta, sono solo capace
di dimenticarmi di come,
per ogni uomo
la trasparenza, quando si rompe
taglia.
a dipingere le pareti
mi accorgo che è da un po’
che da un uomo o da una donna
non sto imparando nulla.
Cosa sono di me
allora, mi domando.
Nel mio non sapere
incomincio ad invidiare
questo vetro di questa finestra
così vorrei essere
un qualcosa, che divide il dentro
dal fuori
la si può aprire per cambiare l’aria
(mi aiuta a respirare meglio)
un niente, che permette di guardare
attraverso
ma che ha lo spessore necessario
per lasciare in superficie
la sporcizia
basta un grado di obliquità e diventa specchio
non perde la profondità.
Ma ogni volta, sono solo capace
di dimenticarmi di come,
per ogni uomo
la trasparenza, quando si rompe
taglia.
Per
capirne ancora e meglio provo a leggere, solo dopo, prefazioni note o risvolti
e leggo una riga di Monique Pistolati a proposito di “Il riparo che non ho” che
corrisponde bene a ciò che provo:
[…]C’è un continuo misurarsi tra
dentro e fuori sempre alla ricerca di un senso[…].
Queste
probabilmente le stanze che intendo, come accade a chi la poesia la frequenta,
vivendola, non scrivendola soltanto.
Spesso
il critico, animale oggi quasi impossibile da trovare, che non sia poeta a sua
volta (spesso di scambi) non va e non vede oltre e quasi mai ti spinge verso la
lettura nelle sue presentazioni pubblicate all’inizio nei volumi di poesia. Quelle
presenti nei libri di altri generi letterari ti invogliano, con poche e chiare
frasi, ad aprire o ad acquistare il testo. Per la poesia accade il contrario,
ma fa testo!
Per
questo non intendo sostenere questo strano evolversi della critica nei
confronti della poesia, segnalando invece, da lettore, ciò che più colpisce in
un testo.
Se,
come in questo caso, le ‘voci’ di Fierro hanno una musicalità (ben poco
italiana), se ogni poesia e ogni verso non è altro che una piacevole scoperta,
con le emozioni, le contraddizioni e i dubbi che affliggono il poeta, compresi
quelli che lo ‘costringono’ alla pagina e ai versi che non sembrano mai completarsi
(come è giusto che sia) e che mai si scoprono totalmente (questa la differenza
fra poesia e romanzo) allora mi sento di consigliarlo.
Di
Giovanni Fierro ho anche Oleandro e garaža piccolo volume di poesie
erotiche che mi fa aggiungere qualche altro appunto sulla vitalità e severità del
Poeta, che sembra invitarci:
“Non salvarti
in questa fiamma
nutrita
a carne”
Lascio
quindi spazio ai versi scelti, certo di avere quel seguito di lettori,
piuttosto particolare, che sanno della mia volontà di far largo alle parole dei
poeti in grado di suscitare emozioni, come in questo caso, piuttosto di
continuare con annotazioni varie ed eventuali.
Uno più uno
Abbiamo
una bambina
da alcuni anni viviamo assieme
da un po’ di più abitiamo il nostro amore
non ti ho sposata
perché nel momento di preparare il sì
un uomo deve essere capace di promettere il cielo
io non ho le ali
e neanche non sono capace di nuotare bene
dopo due tre quattro bracciate
i miei polmoni hanno fatica
gli manca l’ossigeno.
Ma oggi, sulla spiaggia ho trovato una conchiglia
mi piace, è bianca e opaca, pulita
nel suo centro è forata
è un anello
è la fede che vorrei mettere al tuo anulare
anche se so che così, lì
tutto attorno, ci sarà
il mare.
da alcuni anni viviamo assieme
da un po’ di più abitiamo il nostro amore
non ti ho sposata
perché nel momento di preparare il sì
un uomo deve essere capace di promettere il cielo
io non ho le ali
e neanche non sono capace di nuotare bene
dopo due tre quattro bracciate
i miei polmoni hanno fatica
gli manca l’ossigeno.
Ma oggi, sulla spiaggia ho trovato una conchiglia
mi piace, è bianca e opaca, pulita
nel suo centro è forata
è un anello
è la fede che vorrei mettere al tuo anulare
anche se so che così, lì
tutto attorno, ci sarà
il mare.
Ad Auschwitz
Tra la neve e il suo bianco
c’è una crepatura
è lo sguardo, quando
non corrisponde alla parola pronunciata
che spingi dalla bocca
è evidente che qui
neanche la natura ha tenuto
si è sfaldata come una bugia
quando viene scoperta.
Per chi mai, qui
la neve, ha promesso
il Natale?
c’è una crepatura
è lo sguardo, quando
non corrisponde alla parola pronunciata
che spingi dalla bocca
è evidente che qui
neanche la natura ha tenuto
si è sfaldata come una bugia
quando viene scoperta.
Per chi mai, qui
la neve, ha promesso
il Natale?
Mio nonno Nino
Faccio
proprio fatica a pensare che il mio sangue
proviene
dal tuo sangue
i
miei capelli che rimangono ostinatamente neri
i
tuoi erano completamente bianchi prima che tu avessi trent’anni
i
miei occhi scuri dovrebbero nascondermi e invece mi svelano
l’azzurro
dei tuoi è il cielo che ti protegge.
Io
ho ancora mani da ragazzo
hanno
poca forza nella presa
ancora
non dicono qual è il mio coraggio
così
guardo le tue mani
i
tuoi calli sono la soluzione
di
ogni algoritmo che la fame ti ha snervato nello stomaco
la
radice quadrata della tua bontà che non ti ha mai tradito
la
giusta approssimazione ad ogn
i
tuo possibile sogno
il
suo esatto più vicino
questa
pelle sulle tue dita, asciugata a nocciolo di pietra, stretta a pugno
o
volata a carezza, dove è più consumata e quasi nascosta per vergogna
lì
riconosco il segno della tua matematica più precisa
pala
e piccone.
Memoria
Che non è possibile
mercoledì sera non sapevo più
dove avevo parcheggiato la macchina
tre quarti d’ora a cercarla per via Angiolina
e nelle strade tutte attorno
e adesso, i cinquanta euro che avevo in tasca
dove sono andati, dove li hai messi
ma hai problemi di memoria
non è che sarà la ciste dietro il tuo orecchio sinistro.
mi dici mi chiedi mi appelli.
Mi sento offeso, prendo il cappotto
e esco di casa
metto in moto l’auto, guido per più di un’ora
e tutto questo tempo continuo a domandarti
sottovoce, con le parole che non si sporgono
di più di un centimetro, dalle mie labbra
ma tu, non ti ricordi di volermi bene?
mercoledì sera non sapevo più
dove avevo parcheggiato la macchina
tre quarti d’ora a cercarla per via Angiolina
e nelle strade tutte attorno
e adesso, i cinquanta euro che avevo in tasca
dove sono andati, dove li hai messi
ma hai problemi di memoria
non è che sarà la ciste dietro il tuo orecchio sinistro.
mi dici mi chiedi mi appelli.
Mi sento offeso, prendo il cappotto
e esco di casa
metto in moto l’auto, guido per più di un’ora
e tutto questo tempo continuo a domandarti
sottovoce, con le parole che non si sporgono
di più di un centimetro, dalle mie labbra
ma tu, non ti ricordi di volermi bene?
Per
te sono stato la fermata d’autobus che non arriva mai
ma
che permette al viaggiatore di guardare il paesaggio.
Il
nostro amarci non è mai stato amore
tu
lo hai desiderato e hai creduto che poteva essere un fiore.
Avevi
ragione
era
una rosa.
Già
nel seme aveva tutte le sue spine.
Pioggia
Mi chiedi le parole dell’amore che io non dico
perché non ho braccia robuste
e poca forza nelle mani
per poterle proteggere.
perché non ho braccia robuste
e poca forza nelle mani
per poterle proteggere.
Ma è stato il tuo ‘ti amo Giovanni, incondizionatamente’
ha messo il seme nel mio istinto.
Poi io sono stato capace di un unico gesto animale
ho voluto fare del tuo ventre un nido.
Se amore è quando noi due finiamo di pranzare e cenare
sui piatti vuoti e sulla tovaglia rimangono le briciole
se le mettiamo assieme fanno un pezzetto di pane
da sole sono la fame.
Una bambina
Nel
tuo ventre il mio seme si è spaccato
è
diventato radice
tu
sei la terra promessa e lo proteggi.
Sul
monitor dell’ecografia
vediamo
i piedini, le due piccole mani
il
profilo del viso ti è subito piaciuto
la
spina dorsale, il suo battito cardiaco
la
ginecologa ci indica i tre piccoli segni paralleli
ci
dice che sono la vulva.
Forse
è questa la fiducia
è
trovare la parola piena
il
tuo seno che si prepara al filamento del latte e verrà succhiato
è
dire guarda c’è il sole oggi
è
indicare il suo centro senza dire
che è il bersaglio.
Questa
mattina hai contato la circonferenza della tua pancia
‘ottantotto
centimetri' mi hai sorriso
per
oggi è questa la misura del mondo.
Giovanni Fierro e nato nel 1968
a Gorizia, dove vive. Suoi testi sono stati pubblicati
nelle antologie Frantumi (2002) e Prepletanja - Intrecci (2003) e
nel dicembre 2004 nella sua prima raccolta poetica Lasciami cosi, edite
da Sottomondo Gorizia.
Nel
gennaio 2007 ha
pubblicato Acque di acqua, raccolta di sette testi, inerenti al dvd
“Judrio” dell’artista cormonese Mauro Bon. Gli stessi testi, integrati da nuovi
scritti, sono apparsi nell’antologia Dall’Adige all’Isonzo. Poeti a Nord-Est
(Fara Editore, 2008). Nel febbraio 2011 e uscita la sua ultima raccolta Il
riparo che non ho, con prefazione di Claudio Damiani e quarta di copertina
firmata da Monique Pisolato, edita da Le Voci della Luna. Nel dicembre 2011,
cinque suoi nuovi testi a titolo Una tregua sono ospitati sulle pagine
dell’Almanacco dello Specchio 2010 - 2011, edito da Mondadori. La sua
pubblicazione più recente e la plaquette, venti testi, Oleandro e garaža,
pubblicata ad inizio 2015 per l’editore Qudu di Bologna. Ha partecipato a varie
letture e festival poetici in Italia, Slovenia, Croazia, Austria e Repubblica
Ceca. È tradotto in portoghese, sloveno, tedesco, croato, ceco e friulano.
Collabora
con il quotidiano Il Piccolo e la rivista IsonzoSoča.
Cura
la rivista mensile on line Fare Voci. Giornale di scrittura (www.isontina.beniculturali.it).
È responsabile della collana di poesia “Fare Voci”, per l’editore Qudu di
Bologna.
Per
contatti: giovannifierro68@hotmail.com