Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio, IV Edizione 2018


Con il patrocinio di Comune e Provincia di Mantova

Scadenza prorogata al 25 febbraio 2018


Un Premio unico perché aperto, in due apposite sezioni, Vita di scienza e d’arte L’Ozio degli attivi, alla poesia di autori noti o esordienti così come a quella di persone ospiti di strutture protette che praticano la poesia come occasione di riscatto, come pratica di autocura e di reinserimento sociale.
Da sottolineare la composizione delle due giurie derivante dalle specificità artistiche e professionali dei giurati stessi.  continua a leggere....

due o tre cose che so di me

La poesia resiste al di là dei poeti, alcuni sopravvivono altri scompaiono ma, in questo enorme moltiplicarsi di versi del poeta esiste la propria vita.
Mi sono avvicinato alla poesia proprio come un bambino cresciuto in un circo con la propria famiglia, in quel circo inizia e prosegue quasi sempre il lavoro che sarà, nel bene e nel male la mia vita.
Era stato mio nonno Vincenzo Muglia a cogliere le difficoltà, anche economiche di Giovanni Pascoli che alla fine dell’Ottocento insegnava a Messina e mio nonno faceva l’editore fino al terremoto nel 1908 data che lo vide spostarsi a Catania, dove proseguì la propria attività di editore della Real Casa, continuando a pubblicare autori noti e poco noti italiani, fra questi il grande narratore per bambini e ragazzi Luigi Capuana o il critico d’arte Stefano Bottari.
Crescendo in questa famiglia di editori e librai, non potevo non avvicinarmi ai libri con i mezzi che avrei potuto trovare via via nel crescere.
L’impegno o, se vogliamo, lo spirito, è stato sempre quello di ‘scoprire’ autori che, per la loro storia, sentivo vicini al mio spirito, solitudine o inquietudine.

Divenendo al tempo stesso un discreto lettore. La mia vita è stata fin qui abbastanza lunga e con i mezzi sempre scarsi a mia disposizione, credo di aver fatto più che un buon lavoro. Non pensavo certo che la poesia potesse salvare la vita, molto spesso anzi scoprivo quanti poeti, lottando per la propria libera parola, la vita l’avevano persa.
Passando per Albert Camus a Federico Garçia Lorca fino ad Arrivare a Fernando Arrabal e Jodorowsky.
Mi si apriva d’incanto una possibilità reale, poter pubblicare autori che in Italia non erano ancora conosciuti. Col tempo cresceva la mia ansia e le difficoltà diventavano insormontabili per via dei costi che questo tipo di attività richiedeva.
Ma non mi sono fermato, mai, nemmeno adesso che la vita va verso il tramonto.
Incontrando nel corso delle esperienze poetiche decine di persone in difficoltà per la sopravvivenza, nel senso stretto del termine: soldi per mangiare, per mantenere una casa e così via.
I due casi, poi scoperti o riscoperti e pubblicati dai maggiori editori italiani sono quelle riguardanti due donne: Anna Maria Ortese e Goliarda Sapienza. Ignorate in vita ora è possibile leggere tutto, anche le opere minori che non si sarebbero mai sognate di pubblicare.
Ma non basta, uno dei maggiori filosofi francesi Gaston Bachelard ignorato nel nostro paese viene da me pubblicato nel 1978, da quell’anno tutte le opere vedono man mano la luce. Così come lo spagnolo Manuel Vázquel Montalbàn del quale pubblicherò l’opera prima, fino ad arrivare allo scrittore arabo Naim Araidi incontrato prima a Roma, poi in Galilea.
In sintesi i miei autori pubblicati in italiano sono il mio apporto ad una  vita poetica possibile: non avrei potuto combattere altrimenti la solitudine dell’essere umano davanti al potere, alla sopraffazione che quotidianamente vive.
La poesia è quindi una risorsa, oltre che uno stimolo ad andare avanti. La parola del poeta molto spesso fa paura, è comunque e sempre rivoluzionaria, si batte con i pochi mezzi che trova al di là di ogni frontiera. Ed è forse per questo che poeti d’ogni parte del mondo si incontrano sulle stesse tematiche: la vita, l’amore, la pace, quando c’è.
Molti sono i fermenti che stimolano la creatività in ciascun essere umano e certo la poesia non risolve né stabilisce una possibile risorsa, ma è un’arma, talvolta protesa verso se stessa, il più delle volte rivolta allo stesso poeta che non potrebbe farne a meno per vivere.
Proprio per questo molti incontri fra poeti di varie lingue e nazioni, come scriveva lo stesso Araidi, avvengono affinché si continui a parlare malgrado le diversità delle lingue e delle situazioni vissute. Attraverso questi scambi si spera sempre e da sempre che il mondo comprenda la lingua comune dell’amore e della pace.  .

Premio Nazionale di Poesia “Masio Lauretti”, 2018

Associazione Culturale Pellicano
bandisce

Premio Nazionale di Poesia “Masio Lauretti”

Medico Chirurgo (1951- 2001)
Terza Edizione

aperto agli alunni delle scuole medie e superiori
Il concorso è gratuito. Non è richiesta alcuna quota di iscrizione.

Il Premio si articola in due Sezioni:
Sezione riservata agli alunni delle scuole medie.Si concorre con un massimo di tre poesie in lingua italiana.
Sezione riservata agli alunni delle scuole superiori.Si concorre con un massimo di tre poesie in lingua italiana.
Il concorso è gratuito. Non è richiesta alcuna quota di iscrizione.
– SCADENZA –
L’invio delle opere potrà essere effettuato entro e non oltre il 28 febbraio 2018.
Leggi il bando completo cliccando QUI

Si conta e si racconta: da Basile a Calvino, di Franca Palmieri

Era na vota na femmena prena chiammata Pascadozia, la quale, affacciatose a na fenestra che sboccava a nogiardino de n’orca, vedde no bello quatro de petrosino, de lo quale le venne tanto golio che se senteva ashievolire: tanto che, non potenno resistere, abistato quanno scette l’orca, ne cogliette na vrancata. Ma, tornata l’orca a la casa e volenno fare la sauza, s’addonaie ca ’nc’era menata la fauce e disse: «Me se pozza scatenare lo cuollo si ’nce ’matto sto maneco d’ancino e non ne lo faccio pentire, azzò se ’mpara ogne uno a magnare a lo tagliero suio e no scocchiariare pe le pigniate d’autre». Ma continovanno la povera prena a rescendere all’uorto, ’nce fu na matina ’mattuta da l’orca, la quale, tutta arraggiata e ’nfelata, le disse: «Aggiotence ’ncappata, latra mariola! e che ne paghe lo pesone de sto uorto, che viene co tanta poca descrezzione a zeppoliare l’erve meie? affé, ca non te mannarraggio a Romma pe penetenzia!». Pascadozia negrecata commenzaie a scusarese, decenno ca no pe cannarizia o lopa c’avesse ’n cuorpo l’aveva cecato lo diascance a fare st’arrore, ma ped essere prena e dubetava che la facce de la criatura non nascesse semmenata de petrosine; anze deveva averele grazia che no l’avesse mannato quarche agliarulo. «Parole vo’ la zita!» respose l’orca, «non me ’nce pische co sse chiacchiare! tu hai scomputo lo staglio de la vita si non prommiette de dareme la criatura che farrai, o mascolo o femmena che se sia».

Petrosinella. Trattenemiento Primmo de la Iornata seconna

da Lo cunto de li cunti «Il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di
fiabe popolari» Benedetto Croce

Nel 1697-98, due scrittrici Mademoiselle de la Force e Chaterine D’Alnoy avevano scritto fiabe simili a quella di Basile: Persinette, pubblicata nella raccolta Les Contes des Contes e La chatte blanche in Contes nouveaux ou les fées à la mode.
I Fratelli Grimm, scrissero molto tempo dopo Raperonzolo col titolo originale Rapunzel in Fiabe (Kinder- und Hausmärchen, 1812-1822). 
Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli

che per salir mi servirò di quelli.

C'era una volta un uomo e una donna che da molto tempo desideravano invano un bimbo. Finalmente la donna scoprì di essere in attesa. Sul retro della loro casa c'era una finestrella dalla quale si poteva vedere nel giardino di una maga, pieno di fiori ed erbaggi di ogni specie. Nessuno, tuttavia, osava entrarvi. Un giorno la donna stava alla finestra e, guardando il giardino vide dei meravigliosi raperonzoli in un'aiuola. Subito ebbe voglia di mangiarne e, siccome sapeva di non poterli avere, divenne magra e smunta a tal punto che il marito se ne accorse e, spaventato, gliene domandò la ragione.
Raperonzolo divenne la più bella bambina del mondo, ma non appena compì dodici anni, la maga la rinchiuse in una torre alta alta che non aveva scala n‚ porta, ma solo una minuscola finestrella in alto. Quando la maga voleva salirvi, da sotto chiamava:

Un’altra  fiaba di origini tedesche, è Puddocky e inizia con una fanciulla che cade nelle grinfie di una strega per aver chiesto alla madre di sottrarle del cibo.

In una fiaba italiana invece a rubare il cibo è Prunella, una fanciulla, che viene per questo catturata da una strega (trascritta in inglese nel 1900).

Nella raccolta Fiabe Italiane (1956) di Italo Calvino, si racconta una fiaba similare a quella di Raperonzolo, intitolata Il Principe Canarino, in cui una principessa viene imprigionata in una torre a causa della gelosia della matrigna e Prezzemolina, una fiaba fiorentina, scritta in precedenza da Vittorio Imbriani e trascritta da Isaia Fiorentini in Fiabe mantovane (1879)

C'era una volta marito e moglie, la cui finestra dava sull'orto delle fate. Questa donna era incinta. Un bel giorno s'affacciò alla finestra, e vide un prato di prezzemolo, il più bello! Attese di vedere andar via le fate, poi prese la scala di seta e si calò giù; si mise a mangiare il prezzemolo a tutto spiano. Mangia, mangia, finché poi risalì la scala, chiuse la finestra e via! Ogni giorno faceva così. Un giorno, le fate passeggiavano in giardino: "E dimmi" disse la più bella, "non ti pare che manchi del prezzemolo?" Le altre risposero: "E ne manca anche tanto! Sai cosa faremo? Usciremo tutte fuori, e una di noi rimarrà nascosta; perché qui c'è qualcuno che viene a mangiare."

Prezzemolina da «La Novellaja Fiorentina», 1877 di Vittorio Imbriani

C'era una volta marito e moglie che stavano in una bella casina. E questa casina aveva una finestra che dava sull'orto delle fate. La donna aspettava un bambino, e aveva voglia di prezzemolo. S'affaccia alla finestra e nell'orto delle fate vede tutto un prato di prezzemolo. Aspetta che le fate siano uscite, prende una scala di seta e cala nell'orto. Fatta una bella scorpacciata di prezzemolo, risale per la scala di seta e chiude la finestra. L'indomani, lo stesso. Mangia oggi, mangia domani, le fate, passeggiando nel giardino, cominciarono ad accorgersi che il prezzemolo era quasi tutto andato. "Sapete cosa facciamo?" disse una delle fate. "Fingiamo d'essere uscite tutte, e una di noi invece resterà nascosta. Così vedremo chi viene a rubare il prezzemolo

 Prezzemolina da «Fiabe Italiane» di Italo Calvino 1956

Una fiaba che narra una storia affine a quella di Raperonzolo è siciliana: Bianca-comu-nivi, Rossa comu focu ed è stata raccolta da Giuseppe Pitré (1875).


Bianca-comu-nivi-russa-comu-focu, 
calami li trizzi quantu acchianu!

Cc'era 'na vota un Re e 'na Riggina; stu Re e sta Riggina ancora 'un avianu un figghiu, e sempri face-vanu vutu p'avillu, e prumisiru ca si cci nascía un figghiu o puru 'na figghia, facianu pi sett'anni dui funtani: una chi mannava vinu, e 'n'àutra ogghiu. Ddoppu stu vutu si 'ngravitau la Riggina e fici un beddu figghiu masculu. Comu nasci stu picciriddu, a manu a manu fannu fari sti du' funtani, e li genti tutti javanu a pigghiari ogghiu e vinu. A lu capu di sett'anni misiru a siccari sti funtani. 'Na Mamma-dràa vulènnusi cògghiri li stizzi chi ancora pirculavanu , cci iju cu 'na sponsa e 'na quartaredda. Assuppava e sprimía, assuppava e sprimía . Ddoppu aviri stintatu tantu a jinchiri sta quartaredda, lu figghiu di lu Re, lu picciriddu, chi stava jucannu a li bocci, pigghia 'na boccia, e pi cra-pìcciu cci la tira 'nta la quartaredda, e cci rumpiu la quartaredda. Comu la vecchia vitti accussì, cci dissi: - «Senti: nun ti pozzu fari nenti, cà si' figghiu di Re; ma ti mannu 'na gastima: chi nun ti pozzi maritari fi-na chi nun trovi a Bianca-comu-nivi-russa-comu-focu!»

In una fiaba greca invece si narra di un eroe che insieme all'eroina fugge dalla strega, la quale però opera su di loro un maleficioed è Anthousa, Xanthousa, Chrisomalousa (Georgios A. Megas 1893-1976).

Infine in un’altra fiaba napoletana Filogranato, racconta la storia di una bambina che si nutre soltanto di uva. La piccola viene presa – in cambio della libertà della madre – dalla padrona della vigna nella quale la povera donna ha rubato i frutti per nutrire la figlia. La bambina è chiamata Filogranato e rinchiusa in una torre in cui la vecchia è solita portarle da mangiare:

Filogranato, Filogranato, quelle trecce dorate mandale giù che voglio salire, 
è arrivata la tua comare, è venuta a visitarti.

Tutte le fiabe citate sono elaborazioni di Petrosinella di Giovan Battista Basile,  poiché raccontano quasi tutte storie di madri in attesa che, per soddisfare delle voglie, sono costrette a dare le loro creature in cambio. Queste vengono rinchiuse in torri isolate, ma di loro s’innamorano dei principi vedendole alle finestre. Insieme riescono a organizzare fughe per rendersi indipendenti, attraverso varie peripezie.
Con alcune varianti tra le quali il cibo di cui si avverte il desiderio, le antagoniste, le prove da superare, questi racconti popolari, divenuti fiabe, hanno attraversato i secoli e sono stati raccontati oralmente da nonni e genitori, prima che li leggessimo sui libri. Pur essendo antichi restano attuali. Oggi le donne incinte hanno ancora “voglie” improvvise e ne cercano soddisfazione, pur sapendo che le loro creature non avranno un segno indelebile sul corpo. Naturalmente questi non costituiscono più i motivi per dare via i propri figli, ma ce ne sono altri, quali l’impossibilità di crescerli da sole o l’estrema povertà. L’isolamento dell'adolescente avviene tuttora per inadeguatezza, per costrizione o per protezione ed è sempre presente il desiderio di autonomia e libertà che fa emergere il coraggio di affrontare qualsiasi ostacolo, attivando risorse personali.
Adulti, bambini e adolescenti hanno ascoltato affascinati queste fiabe, traendone conforto e sicurezza per le situazioni che vivevano nelle diverse età, anche da azioni apparentemente negative, quali la reclusione. Lo psicanalista svizzero Bettelheim ha portato l’esempio di un bimbo di cinque anni cui questa storia della ragazza rinchiusa, in assenza della nonna ospedalizzata, ha trasmesso un senso di protezione e fiducia che, in caso di necessità, avrebbe trovato nel suo corpo i mezzi per salvarsi, come Rapunzel con le sue trecce.
Ciò può dimostrare come una fiaba, raccontando in modo immaginoso e indiretto problemi umani esistenziali, può suggerire insegnamenti, soluzioni anche a un bambino di sesso maschile seppure l’eroina della storia sia una ragazza adolescente.
Come sappiamo, ogni fiaba che si rispetti ha lo scopo di trasmettere un insegnamento.
Bettelheim, riguardo Petrosinella spiega che nella storia non vi è una vera e propria morale, ma viene messa in luce la fiducia in se stessi, l’unico motore che ci permette di affrontare qualsiasi sfida con coraggio e senza mai arrendersi.

Giovan Battista Basile
Giovan Battista Basile trascrisse ne Lo Cunto de li Cunti, overo lo tratteniemento de’ peccerille, le fiabe tradizionali della sua terra: la Campania.  È  un libro di fiabe poiché è uno di «quei racconti tradizionali, nei quali prendono parte esseri sovraumani ed extraumani della mitologia popolare: fate, orchi, animali parlanti, vegetali e minerali di prodigiosa virtù e via dicendo» (Croce). Solo sei dei 50 cunti non corrispondono a questa definizione.

Naturalmente bisogna tener presente che all’epoca la fiaba non era considerata un genere letterario rivolto all’infanzia e questo periodo della crescita non necessitava di particolari attenzioni e cure come avviene oggi.

Fu pubblicato dopo la morte dell’autore nel 1634-36 dalla sorella Adriana ed è una delle raccolte di fiabe più importanti della cultura europea.

Il Cunto ha la struttura di un racconto all’interno del quale, ne sono narrati altri quarantanove. L’opera è divisa in cinque giornate di recitazione comica (da cui il titolo postumo de Il Pentamerone) e ciascuna giornata si chiude con un’egloga, una satira morale che ritrae «l’infelicità delle varie condizioni umane», recitata da due servi-attori.
Ogni giornata si apre con una ’Ntrodutione e tutte le giornate, tranne l’ultima si chiudono con un’egloga recitata.
L’atmosfera è quella dei casali, un’aggregazione di cortili intorno ad un corpo centrale, dove si riuniva la gente comune per trascorrere qualche ora, ascoltando piacevolmente i trattenimenti. Tutti i racconti sono aperti da una sequenza proverbiale e chiusi da un proverbio che ha il compito di smorzare il tono fortemente espressivo e audace del racconto.

Fu proverbeio de chille stascioniato, de la maglia antica, che chi cerca chello che non deve trova chello che non vole e chiara cosa è che la scigna pe cauzare stivale restaie ’ncappata pe lo pede, come soccesse a na schiava pezzente, che non avenno portato maie scarpe a li piede voze portare corona ’n capo.
A pazze e a peccerille dio l’aiuta

Per la varietà degli intrecci e lo stile ricercato, molto attento all’aspetto linguistico, le fiabe del libro, tradotte in tedesco e inglese, furono un modello  per Perrault e in seguito per i fratelli Grimm.
Basile, oltre che alla tradizione popolare ha attinto alla tradizione letteraria più colta dell'epoca, a miti e leggende, a proverbi e aneddoti, a termini appartenenti ad aree linguistiche differenti, a temi trattati da autori classici quali Plinio, Ovidio, Virgilio, Petrarca.
L’autore sviluppa spunti fantastici tradizionalmente conosciuti  e universalmente noti creando La gatta cenerentola e Cagliuso.  Il personaggio di Cenerentola raggiungerà la fama con Charles Perrault e Cagliuso diventerà Il gatto con gli stivali di Johann Ludwig Tieck. Altri personaggi, ripresi dall’ambiente popolare del seicento, entreranno nei libri di fiabe per ragazzi, come Vardiello.

Lu cuntu inizia così.
C'era una volta ‒ ‒ il re di Vallepelosa, che aveva una figlia di nome Zora. La fanciulla era talmente triste che il padre, nella speranza di indurla a ridere, aveva escogitato i più fantasiosi espedienti, senza però riuscire mai nell'intento; finché un giorno, mentre è affacciata alla finestra, Zora assiste al vivace litigio sorto tra un paggio e una vecchia: il gesto osceno che la donna rivolge al giovane suscita nella fanciulla risa irrefrenabili. Ma all'ilarità della principessa, la vecchia, che si crede beffata, risponde con una maledizione: la fanciulla non potrà sposare altri che il principe di Camporotondo, Tadeo. Questi, a causa di un incantesimo, giace, senza vita, in un sepolcro, ed è destinato a prendere in moglie solo colei che saprà risuscitarlo, riempiendo di lacrime una brocca. 

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