ISBN 9788890899584, p. 64, € 10.00 In copertina Lʾiride del tempo di Emanuela Del Vescovo |
È proprio vero che le polemiche
attorno alla poesia e ai poeti non finiscono mai.
Ma è sempre stato così. Quello
che oggi è cambiato riguarda l’intimità e l’apparire: a partire da questo, il
fenomeno si mostra in tutta la sua evidenza.
Se in passato gruppi di artisti
si riunivano per discutere di poesia, questo avveniva in ambiti ristretti,
molto spesso con attacchi feroci, ora pressoché sconosciuti. Al giorno d’oggi i
critici, poeti a loro volta, non fanno che elogiarsi vicendevolmente,
seguitando a scambiarsi premi e inviti. La rete che potrebbe e dovrebbe essere
un mezzo per una maggiore informazione, non fa altro che amplificare questo
fenomeno e renderlo più visibile.
Lo stesso Pasolini (forse
l’ultimo che ha avuto il merito di esercitare una critica feroce e sincera nei
confronti di ciò che era corrotto) cercava complici per poter vincere qualche
premio importante. Non riuscendoci si scagliava poi contro gli stessi giurati.
Fra i tanti volumi che a lungo
rimangono sulla mia scrivania, ce ne sono alcuni - naturalmente di poesia -
piuttosto dignitosi, questi però presentano un grande difetto: sono corredati
di introduzioni o note che nulla hanno a che vedere con l’opera che trattano e,
semmai, diventano una sorta di complice, ma anche incomprensibile,
testimonianza pro-autore. Il linguaggio ottuso e/o astruso che vi si usa
allontanerebbe chiunque, lettore di poesia o no, ancora abbia voglia di
accostarsi a cotanta novità editoriale.
Ogni tanto però qualche eccezione
esiste, e non a caso, introdotta da uno che della poesia e solo di questa ha
fatto lo scopo della propria vita: Antonio Veneziani. Ma di certo qui non
desidero scrivere di lui, semmai invece riportare alcune delle parti che egli
ha posto a presentazione di “Plethora” (Nuove Edizioni Aldine, 2016), il bel
nuovo libro di Antonella Rizzo.
Beppe Costa
Da: “Cartoline per Antonella Rizzo e il suo Plethora” (prefazione al libro citato)
Non è facile classificare i
poeti, vivono e prosperano, tutti, in zone d’ombra, anche quando agiscono in
piena luce e parlano di sole e di riverberi.
Antonella Rizzo poi è più
sfuggente ancora, cambia pelle ad ogni libro pur restando la sua una voce
sicura, potente, piena di sfumature e di colorazioni, modulata anche nell’urlo,
dato che per lei la parola è origine e prosecuzione del dire e del fare.
Un poetare che viene dal sangue e
nel sangue del lettore va a depositarsi.
[…]
La poesia di Antonella Rizzo è
sorgiva ma sempre incanalata su una strada di raziocinio, irrazionale ovvio,
come tutta la vera poesia.
[…]
Scrittura pulita, ricercata,
zeppa di rimandi letterari, molti femminili da Elisabeth Bishop ad Antonia
Pozzi, da Margherita Guidacci ad Anne Sexton… Insisto nel fatto che la poesia
della Rizzo, pur avendo una forma assai ricercata, questa non sovrasta mai il
contenuto. Dunque una forma pulita, elegante, perfetta fino allo sfinimento, ma
sempre pregna di sensualità e sensazioni derivanti da un anticonformismo di
fondo, che nascono e procedono su quella strada.
[…]
[Quella di Antonella Rizzo] è una
poesia che dialoga con specchi; specchi poetici, come ho già affermato, e
specchi reali-quotidiani presentando a suo modo gli accidenti e gli accadimenti
dell’assistere e del sognare l’esistenza. Visionaria e colta, le sue parole
sono un controcanto alla durezza del sopravvivere, con poesia.
Per parafrasare Woody Guthtrie:
«Una buona poesia può solo fare bene» e quella di Antonella è buona poesia;
essa non insegna a vivere ma paradossalmente può far vivere meglio. Il problema
è che la poesia purtroppo consuma chi la scrive e chi la legge.
Cees Nooteboom dice: «In questo
momento storico le persone si sentono sole. E la poesia offre qualcosa che va
oltre la vita di ciascuno, trasporta in un luogo che sta più in alto della
quotidianità. Compie questo strano miracolo per cui parte da un punto molto
personale e arriva all’universale».
Perché la poesia, quasi sempre,
si legge da soli, ma mette in comunicazione con l’anima del mondo e con gli
amici degli amici e degli affini, e questo è un miracolo di cui la poesia della
Rizzo è generatrice.
Bisogna avere il coraggio della
visione ma anche quello della realtà e allora leggere «Plethora» è un atto di
intelligenza verso se stessi e verso il mondo. Infatti dopo vi sentirete meglio
o peggio, dipenderà da voi […]
Adamo
Adamo non perdonerò mai
la natura stessa dellʼinganno
farti cimice insignificante
senza sangue, storia, una dimora
farti monaco, romita, clericale
caricare colpe a serpi e donne
nascondendo mele da addentare.
Morte moderna
Il tempo di morire
assomiglia alla guerra
dell'ultimo notiziario
che mostra i bisturi
di nuova generazione.
Hanno perso la capacità
di orientare la cesura
prestandosi alla civile
convivenza
tra seni incisi per necessità
o per affabulazione.
Primavera araba
Così si riaffacciò
il tempo trascorso di Fahranez
insieme alle sue armi.
Il vuoto della solitudine
è sgombro da equivoci e da
carezze
capitolate in un attimo.
Ci aspettavamo su sedili di legno
che inarcavano la linea ideale
del dorso, come canne per
battere.
Io sono qui, figlia, per calmare
quella specie nuova di sindrome
che tolse vita a tuo padre
nel riconoscerti al mondo.
Io sono te
con la costola dellʼuomo
nascosta in una scatola.
Su “Tilla Durieux come Circe” di
Franz Von Stuck
Ho un uomo accanto
e un amante pazzo della Giudecca
che disprezza quando il cielo
piange.
Non sono lʼusignolo del mattino
pallidissima, la danzatrice calva
che chiama Amore le natiche di
marmo
strette a forzare il rigor mortis
invidiando i coiti delle
antilopi.
Come orfiche creature
anche i nostri, di ventri
muliebri
hanno bisogno di cinta solide
e di stagioni, assalti e
rotazioni
moti dʼanimo, razzie lucide
paralisi e preludi dʼattimo.
Così il Giorno porta consiglio
e dispiacere di essere figlia
di Ecate alla quale appartengo
monacazione, poi abiura e peccato
Circe novella dispensa vergogna.
Meglio figlia impura del volgo
e fiore estraneo alla serra
piuttosto, una lapide in fronti
di guerra
dove ancora ergersi fiera,
lontano
da fiorai importuni, come
barbieri
che recidono steli come capelli
e quieti, dozzinali mazzi come
parrucche
a riempire damaschi e potiche.
Miracolo di rosa nera
unica e vera regina, in mezzo
alle scorie
zona franca da patrie e da limiti
come nel Donbass i cimiteri.
E fiore bastardo che porti
vertigine
rosa mistica, unica e trina
custode di numeri, ansa di fiume
Madre guerriera, Dea della Cabala
Santa Sara che aspetta gli
zoccoli
di puledri alle rive, cavalcati
da zingari
la notte di Maria della Camargue.
A Dio la sentenza metafisica
sui diaspri di luce e su spore
impazzite, che fuggono.
Ex voto al poeta
Sono qua
ad aspettare il giorno
con un canestro di verbi nuovi.
Il poeta, o chi conduce il tempo
è avvoltoio e Cerbero.
Sʼaccoda allʼumanità piangente
gode dei languori mai narrati
similitudini tra mali,
al lavoro alacre dei Pastori
nei lanzichenecchi globali
dei nostri giorni.
Il cenacolo umano
Seduti. Davanti a Rasputin
mascherato
da angelo buono.
Il primo cristallo si rompe.
E appresso le speranze vane
se ne vanno in pezzi,
dannazione.
Ora è di nuovo lʼora
di figurarmi arditamente
masticare bolo e grazia.
Il secondo cristallo si rompe.
Ma non è posto questa mensa
per metà donna e metà sauro
urla il monaco adirato.
Il terzo cristallo si rompe.
Streghe perfide,
è meglio la puttana di un re
che la serva dʼuno schiavo!
Inside
Non puoi impedire
dʼabitarmi dentro.
Sono lʼunica padrona
di questo confino
e tu il predatore gagè.*
Fuori il solfeggio
di strumenti scordati
alienano la testa
lʼillusione graffiata
di sentirmi unʼorchestra.
*Gagè: Il termine gagé indica nella lingua romanì
il non essere rom o
meglio il non appartenere alla
dimensione romanì.
Poesia per Pasolini
Ti ricordo come un iconico santo
in un soprabito stretto, dai
colli generosi
strizzato in una vita da silfide
maschio
troppo povero per i ricchi
troppo ricco per i miseri.
Difficile immaginarti prono
immerso in una pozza di sangue.
Stavi difendendo la mia natura
notturna e candida
implume e maliarda
che si sveglia con i segni delle
corde.
Eppure, ho sentito stupirsi
rinnegando il canto del gallo
parlando di amore e madrigali
le vipere e i guardoni del
Palazzo.
Hai seminato le crepe e i cortili
spogli
erano fertili, sapevano di talco
e di giovani vecchi armati fino
ai denti.
Se non è questo il sacrificio...
farsi carne e sentirne la
crudezza
quando lʼanima è fuori da ogni
tempo
e già divina con le sue parole.
Plethora
Lo spirito sovrabbonda
doppio e unico
supplica spazio
per esistere.
Si arrocca scabro
sul cratere lavico
talvolta è così,
minimo,
estinguendosi al limite.
Si riaffaccia barbaro
cavalcando cieco
quella bestia dissimile.
Non pregarmi di scendere.
Antonella Rizzo è nata a Roma il 17 gennaio 1967 e vive a
Campoleone. È poeta, scrittrice, docente, giornalista, performer. Ha al suo
attivo: Il sonno di Salomè – Edizioni
Tracce 2012; Confessioni di una giovane
eretica – Edizioni Lepisma 2013; Cleopatra.
Divina Donna dʼInferno – Fusibilia Libri 2014; Iratae pièce teatrale con Maria Carla Trapani - Fusibilia Libri 2015. Ha curato il volume:
Haiku. Come fiori di ciliegio -
Fusibilia Libri 2014 e Il morso verde
nel 2016 per le stesse edizioni. È presente in molte Antologie di Poesia
contemporanea e partecipa ad eventi culturali di carattere nazionale e
internazionale, cortometraggi, pièces teatrali, in collaborazione con artisti
visivi e musicisti. Scrive recensioni letterarie e musicali su riviste di
informazione e cultura.