Zaccaria Gallo |
Gli odori, i profumi di una terra e di una lingua lontana, eppure se torno indietro nelle memorie dei primi miei fascini e stupori di letture vi ritrovo la mia, ancora nei paesaggi stracolmi di macerie.
Questo ritornare indietro mi riporta a Pacheco, Prévert, Lorca e i nostri comuni tempi di guerra, cui frastuoni e sentimenti non si sono mai fermati, spezzandoci le righe, le infanzie, non regalandoci la spensieratezza della adolescenza.
Così, nell’iniziare la lettura della racconta Serbo D’amore conosco e mi affratello a un complice di versi: Zaccaria Gallo (che spero d’incontrare e stringere inquesto percorso d’incontro così insolito, voluto da strana casualità.
[…Racconterò davanti alla tua foto, / che il tempo stinge, sì, ti racconto / accorato richiamo dal cordone mai reciso: / come s’assomigli a questa terra / il pallido volto soave nel mio vestito della domenica lasciato nell’armadio].
Questa è la madre, la sua e quella di molti di tempi misteriosi e incerti.
le sue dita trassero la rivoltella,il suo freddo peso fra le mani
campi di mais e musiche
piccole colline e grano
e vecchi aratri
qualche muro cadente
geometrie d’un ricordo
il tempo arretra nella meraviglia
tu corri e il mio sangue corre con te
un cavallo beveva l’aria del mattino
erbe vibravano al vento
ombre e cielo toccano la terra
codici d’una presenza
qui taceva il cupo frastuono del traffico
conosco la città dei miei nonni
Richiamo continuo alla natura, come d’una quiete ricercata fra tanti rumori, alle famiglie da pensieri ordinati che la pallida luce distrae dal buio:
le sue dita trassero la rivoltella,
il suo freddo peso fra le mani
campi di mais e musiche
piccole colline e grano
e vecchi aratri
qualche muro cadente
geometrie d’un ricordo
il tempo arretra nella meraviglia
tu corri e il mio sangue corre con te
un cavallo beveva l’aria del mattino
erbe vibravano al vento
ombre e cielo toccano la terra
codici d’una presenza
qui taceva il cupo frastuono del traffico
conosco la città dei miei nonni
Si chiude il verso e in me si riapre quell’universo accennato con le prime letture offerte dal nonno e il pensiero non può che andare all’amico di famiglia e nostro autore. Pascoli.
Che dolce, gradita sorpresa negli anni che non sorprendono più, dove tutto lo immagini prima ancora di vederlo e non hai neanche voglia di inforcare gli occhiali per leggere meglio.
Il tempo sospeso
Seguito a tornare
pellegrino che cerca favole e meteore
da leggere la sera e i giorni dati
mentre cresce dentro di me
ciò che deve con domande terrene
Da quando son nato
mi muovo in luoghi
silenziosi e vuoti
e lontane sono
tutte le case che sogno
Lontana la voce di mia madre
che mi chiama
la terra di cui sono fatto
È murata nella mia casa
Molte cose sono cambiate nel mondo
molto è cambiato in noi
Un giorno rivedrai le sette cose
nel riflesso del cielo
tu che hai preso il mio sangue
e l’hai chiuso nel tempo
Nascere una seconda volta
ascoltare la voce del cuore
tornato bambino fermare
il tempo in una mano…ora
che ci resta un incontro d’aria,
che impiglia, che ci respira
nei richiami del lungo cammino
con l’ala fragile d’una nuvola.
Non mi resta che invitarvi a leggere il Poeta, scoprirne il percorso della memoria per ritrovarsi tutt’interi in parole d'altri. (b.c.)
Kraguievac
tu berrai fino alla fine la bevanda mortale
che fermenta nello scroscio delle pietre roventi
per l’eterno moto d’afflizione
qui si canta un canto di contraddizione
che mescola il cupo brusio della morte
al colore squillante del quotidiano
oh, i siluri che nascono dai sepolcri
e vagano sugli altari delle biblioteche
e soffiano sul viso delle confessioni
con l’indistruttibile del potere
l’immenso morso d’uomo che sé stesso rovina
dove s’attaccheranno le mani
della memoria? agli incubi degli svenimenti?
alle lagnanze delle lunghe notti?
nugoli d’insetti vortici di ricordi
ti succhiano dalle torri di Kraguievac
e il cuore ingabbiano nella di speranza
qui dove dormono nella quiete
mossa appena dallo stormire di betulle
di salici e faggi i fiori serbi
qui dove da note oscure crescono
i fermenti del loro sangue
la solitudine di mute risonanze
non soffiare dal tuo viso la lacrima
falla danzare sui pendii delle gote
irrora d’amore ogni stelo spezzato