Storia di librai: Dante Costa, Pellicanolibri - Roma






Dante, della Pellicanolibri, libreria nella periferia romana, nel quartiere Casalotti:
da bambino usciva da scuola ed entrava nella libreria del nonno.
E, a quel punto, i compagni diventavano proprio loro, i libri… Il suo consiglio per il libraio esordiente? Una sufficiente dose di passione…


dal 1992
Video realizzato da Fastbook  filiale di Roma
Libreria indipendente L.I.R.; la pagina facebook ; il Sito

Mauro Macario Le trame del disincanto. Tutte le poesie



pp. 448, € 25,00


Non ho, e ne sono piuttosto felice, le capacità del critico. Soprattutto guardando oggi ai più noti di questo tempo oscuro. Ho solo e da sempre la gran voglia di scoprire la poesia d’ogni parte essa si trovi, nelle parole, certo, ma anche nella musica (sua complice) e in ogni forma d’arte.

Il lettore, malgrado abbia migliaia di libri a disposizione, se ne guarda bene dal frequentarli. Preferendo le immagini quindi perdendo l'immaginazione delle parole.

Fatta questa premessa qualche nota di lettura al volume di Mauro Macario.

Le trame del disincanto - Tutte le poesie (puntoacapo editrice) fin dal titolo dà l’idea del contenuto che si estende per circa 450, raccogliendo tutte le poesie e, in un certo modo tutta la propria vita che in esse è rappresentata. Difficile quindi in un breve testo descriverne ogni aspetto.

Vi trovo nell'insieme le disillusioni e i dolori che in verità, almeno per me, raccontano 'anche' la storia del nostro bel paese degli ultimi cinquant'anni. Per questo mi è tornato in mente il bellissimo Il secolo breve di Hobsbawm. La stessa estrema chiarezza e semplicità di come possa descriversi una ‘storia complicata’ che è la vita dell’umanità e al tempo stesso la vita di un Poeta, nel nostro caso dell’Autore:

[…]Di notte io
alle ore più piccole
divento mio figlio
e brucio a comando
nel mio ultimo letto
ho sette secondi per sfondare la porta
sette secondi per salvarlo dal fuoco
ma come afferrare uno spirito libero
che scivola via da ogni fessura?
la mano radice questa volta è la mia
ma non sono una quercia
il padre del padre
lui si l’avrebbe salvato col suo polso di ferro
mentre il mio tendine allungato allo spasimo
si spezza sui flussi e riflussi di fallite utopie
e diventa cupo rosario poco prima dell’alba
almeno cullarti da morto
lontano dal morboso occidente
trafugato in questo bosco nelle mie cellule vive
tra gregoriani lamenti e fresche acque sorgive
clandestino alla vita per timore di esistere
ora esisti davvero sulla bocca di tutti
a disonore del mondo e al suo cicaleccio
si muore più spesso in un ricordo sbagliato
che nella silente amnesia del piccolo vivere
dall’altra parte dell’oceano
ho guardato gli eventi accadere
accettando la resa in piena battaglia
lasciando avanzare il sottile nemico
tocca a me bruciare in silenzio
alle ore più piccole
ogni notte
per sempre[...] (pg. 292)

Il dolore maggiore è quello certamente della perdita di un figlio che, in questo caso, raggiunge l’atrocità di vederlo smembrato, tagliato, ridotto a pezzi da studio. Questo è senza alcun dubbio un dolore che inciderà per tutto il percorso umano - quindi letterario - dell’esistenza del Poeta. A questo si somma quello del vedere un paese crollare sempre più in basso, allontanando sempre più una qualche speranza di un miglioramento.

[…cerco nell’etere
la frequenza d’incontro
solo che il cielo
sopra il deserto
è un’officina di nulla
non è lí che sorge il richiamo
nella testa qualcuno mi scalcia
per uscire a guardarsi inventato
feto corsaro di un miracolo nero
interrato fra il lutto e le doglie
non c’è che il ritorno
alla cieca galassia
da cui sono partito
genuflesso alla collera
e a nessuna dottrina[…] (pag. 152)

e poi un certo abbandono e sfogo verso la medesima passione che sembra, come in dettaglio viene descritto nel libro, l’inutilità della poesia o, almeno, di certa poesia:

Basta poesia
un colpo di spugna
via i feticci
i balocchi i fantasmi
diamo sepoltura in mare
ai caduti traditi
dalle loro stesse reliquie
e disertando il cielo
rimarginiamo le stigmate
trivellate dalla maggioranza
Basta poesia
le suole scollate dei simboli
stancano le dita
che inciampano sul foglio
come rattoppate baldracche
dal trucco pesante
e il viso rifatto
che al rimorchio dei versi
pescano a strascico
nel cassonetto delle metafore […] (pag. 176)
Un testo intenso, ricco di riflessioni come Le trae di un disincanto non è dunque la storia in versi di un solo poeta, ma un canto generale d’amore – ma anche di rabbia - per la vita che si scontra e combatte contro il suo declino.

Affacciandomi sull'inguine immortale
ho spalancato l’estasi di sotto
per morire di meno
imperversano ancora quei tremori commossi
tra le coltri desolate
ed è lo schianto dell’abbandono triste
a infrangermi lontano
da ogni soccorso (pag. 23)

Il volume si arricchisce anche di un’appendice che fa luce su cos’era per ‘noi’ la poesia e su come “è andata a finire”:
A proposito della poesia Pioggia a Big Sur
Dalla Beat Generation alla Digital Degeneration

Solo adesso che il tempo utile dell’esistenza – utile a farne qualcosa – stringe il suo cerchio a ridosso del tramonto, torna a indorarci e ancora ci abbaglia la lucida memoria dell’adolescenza quando si estendeva a perdita d’occhio la terra promessa, una terra fresata e inseminata di scoperte nascenti, di sogni esaltanti, di utopie sublimi.
Se poi l’adolescenza coincide con una fase epocale dalle peculiarità uniche e irripetibili come quella degli anni Sessanta, la più luminosa e struggente, la più ricca di pulsioni umanistiche, dal dopoguerra a oggi, ecco che quella età, quella spugna assetata di conoscenza, di innovazioni, di rivoluzioni, di poesia multiforme, timbrerà per sempre la vita di quella generazione, la condizionerà nelle scelte etiche, negli imperativi morali, negli schieramenti ideologici, nelle vocazioni artistiche, nell’ascesa e nella caduta di ogni tensione onirica.
In quegli otto anni che vanno dal 1960 al 1968 è accaduto tutto. La carne tenera della coscienza adolescenziale come un tessuto assorbente s’è impregnata di tutte le emanazioni e le trasformazioni metamorfiche di un contesto socio-storico che assunse le caratteristiche di un vero e proprio cambiamento epocale, di un cataclisma poetico e catartico, creando la generazione “contro”, la generazione utopica, la generazione che credeva nell’altrove. L’altrove di Rimbaud. […] pag. 421

Un testo intenso, ricco di riflessioni come Le trae di un disincanto non è quindi la storia in versi di un solo poeta, ma un canto generale d’amore per la vita che si scontra e combatte contro il suo declino. Da tener caro - oltre che leggere e rileggere - come testo da consultare sulla Poesia.
b. c.
per acquistare il libro clicca QUI

Gorizia On/Off di Giovanni Fierro

Leggendo Gorizia On/Off di Giovanni Fierro, senza voler azzardare alcun paragone, l’autore che vi viene subito in mente è Pessoa e i personaggi della prosa poetica de: Il libro dell’Inquietudine.
Qudulibri pag. 80, € 10.00, 2017


Il secondo pensiero è quello di visitare Gorizia, città diversa, di confine come confine c’è quasi in ogni pagina del libro fra narrazione e poesia.
Potrei pensare che persone, locali, cibo e piazze della città possiamo trovarle in tanti altri libri e descriverle come ha fatto Fierro. Ma lui l’ha realizzato in un susseguirsi, persino nella stessa riga, del ribaltamento delle due forme: prosa e poesia. D’improvviso:
[…A Stefania Suligoj piace / la parola ‘tacadiz’, e di ‘attaccaticcio’ vorrebbe / solo un corpo caldo sul suo, a fare del respiro / un bacio, e poi un incanto e poi un fiore. /
Fra queste case e vie l’amore si muove…]

Oppure:
Fra cuore e inguine si muove l’odore della pelle,
tra il mio sguardo e ciò che vedo c’è lo spazio
dove posso mettere il dito, una birra da mezzo,
gli involtini primavera. Seduto sulla panchina
al parco della Rimembranza aspetto le tue gambe.
quando fanno l’onda del mare e io faccio finta
di non saper nuotare…]

Figure minime della quotidianità assumono un ruolo importante nella vita del poeta, nel suo on/off verso la città che vive e rende viva, fra luci ombre, un sole timido o vento forte che sia, dove d’improvviso appaiono scene d’amore intense eppure comuni  che si mischiano a un piatto di pasta o a un cielo troppo carico di stelle.
Una poesia certamente diversa da molta produzione poetica che non lascia tracce alcuna anche nel lettore di molta buona volontà. Come guida turistica di cuori e volti che da anonimi passanti diventano protagonisti di storie senza rendersene conto, scorrendo, come in un film fra colori, suoni e visioni.
Per questo il mio accenno a Pessoa.
[…Della mamma non dice nulla, il silenzio che ha / negli occhi basta a contarle gli abbracci.  Altro non sa…]
Si avverte persino quando cambia il clima, dall’afa al vento gelido e porta al lettore l’odore dei cibi.
Non resta che visitare Gorizia e guidati dalle pagine dell’Autore che ne illustra la storia, verso dopo verso. Ma, come avverte lo stesso Fierro “Gorizia non finisce mai” come la poesia stessa non ha confini.

la 'voce' del Poeta

Ada Beltrame con i capelli raccolti sulla nuca
pensa alla pesca dei cigni alla fiera di Sant’Andrea,
si domanda se vivere è il morso di piadina
salsiccia, peperoni e cipolla che prima ha dato,
e si racconta che sui san pietrini di corso Italia
ha già perso un tacco della scarpa. “Fosse stato così
semplice”, si dice, “perdere l’amore che mi tradiva”.
Con lo sguardo nota la finestra aperta sopra la libreria Ubik.
E si accorge che da lì non c’è niente che ne esca,
“come da ogni desiderio che conosco”, aggiunge.

** 

Fino adesso ho indovinato gli errori e le loro parole,
li ho messi a fare un filo a cui mi aggrappo e tiro,
sì ci sei anche tu, sei il nodo che lo fa finire.
Ma saranno i piccoli rumori del cuore in attesa
a salvarmi, farò entrare la luce nella luce, per 
misurare lo spazio che rimane attorno, dove lo posso
chiamare casa. Ci sarà un silenzio al sapore di dolce 
arresa, il suo profumo si disegna sui vetri, i contorni 
evaporano. Saranno le ore giuste dei giorni vicini a 
dirmi che posso rimanere, con tre poesie di Raymond 
Carver, la gioia cucita che si tiene con una molletta 
e un pallone da calcio. Ti dico sottovoce ‘sarai il 
sonno prima del cuscino, e dopo il sognare che prende 
coraggio e fa di ogni bambino un eroe’. Potrò solo 
ritornare in galleria Bombi e dire buongiorno agli 
uomini venuti da lontano, con una coperta inventano
un nido, portano con sé la fame e lo sguardo di dove 
non si vede, la fuga sui passi, la febbre di ieri e di 
domani. Sarò il ritorno, che non si incespica più 
sulle radici della paura. E sarà sempre più vero che 
la vita la si attraversa a morsi, e dall’amore ne potrò 
uscire solo con una capriola.

 **
A Gorizia l’amore è il piacere da confessare, 
non il suo peccato; è l’abbraccio del silenzio 
che sta nel fondo della fontana del Nettuno 
in piazza Vittoria, è la pronuncia di “Nova Gorica”
che sbaglio sempre. Conosco l’amore con cui 
Fabio Stella apre la bottiglia di vino bianco 
alle otto e venti del mattino, si riempie il bicchiere
e si ricorda che “la fiammella del gas è l’unica 
stella che so accendere”. A Stefania Suligoj piace
la parola ‘tacadìz’, e di ‘attaccaticcio’ vorrebbe 
solo un corpo caldo sul suo, a fare del respiro 
un bacio, e poi un incanto e poi un fiore. 
Fra queste case e vie, l’amore si muove con il passo 
di un colore che ha paura di asciugarsi presto.
Ma se è sbagliato, non di cuore ma di precisione, 
qui l’amore pensa ancora che si può vivere 
di aiuti statali. Questo non l’ho detto a Giulio Bon, 
quando sul muro di via Favetti ha scritto 
“Serena ti amo, anche quando studi”.








Bruno Petretto: omaggio a William Turner e la libreria della Natura

Bruno Petretto: omaggio a William Turner e la libreria della Natura

Ispirata alla visione e all’opera di William Turner (pittore e incisore inglese 1775/1851), nello spazio espositivo del liceo artistico Filippo Figari di Sassari si è inaugurata il 9 febbraio la mostra delle opere di Bruno Petretto come omaggio al pittore  inglese: “La libreria della Natura”.

In un periodo come il nostro, dove molti parlano vanamente di come il nostro pianeta stia soffrendo per la capacità di soffocare, sfruttare, avvilire e assassinarlo, ancora una volta (e certo non ultima) mi soffermo alla visione ben diversa che poche persone hanno di come rapportarsi con la propria madre: la terra.
Argomento trattato - e che dovrebbe essere diffuso a partire dalle scuole d’infanzia - in maniera approfondita in alcuni documentari del regista francese Yann Arthus-Bertrand: Home, Human, La terra vista dal cielo e in altre opere.
Nei lavori di Petretto c’è la volontà di ridare all’arte oggetti della natura stessa che andrebbero in decomposizione: filamenti di pala di fichidìndia, arbusti, cortecce e altri materiali vegetali, diventano libri d’arte da sfogliare e resistere al tempo.
le foto sono di Giuliana Mura



Stefano Iori Lascia la tua terra – Sinfonia del congedo

ISBN 978 88 94903 16 4. pag 80, € 9.00
per acquistare il libro clicca QUI
Gradualmente anno dopo anno vedo avviarsi Stefano Iori verso la grande Poesia, quella che nel tempo rimane e al tempo ci e si concede.
Un linguaggio più semplice e diretto dove la parola punta dritto e senza inchinarsi a stili e metafore, che spesso nulla contengono. Lascia la tua terra si fa leggere senza alcuna difficoltà, accompagnando il lettore nei dubbi e incertezze della vita e del pensiero dell’Autore che, come attraversando l'ombra d'un cammino incerto, inversamente, tratta e cerca di far luce su temi affatto che semplici.
Molto si potrebbe citare della poesia lasciata in eredità dei tempi passati in merito alla vita e alla morte e, come spesso accade, quando i poeti scrivono di morte, urlano alla vita. 
Qui è 'forte' la ‘solitudine’, quella solitudine che il poeta che tende lo sguardo, vede in sé guardandosi attorno.
Mentre i nostri tempi così bui sembrano allontanarci dall'arte e dallo stesso vivere del sé e con sé, si stacca ancor più da ciò che lo circonda, sfidando il vuoto, penetrando nelle vite altrui e nella propria, così che i versi diventano, come da sottotitolo una “Sinfonia del congedo”.
Quasi scusarsi con sé:

Non so più con chi stare / e lo specchio non basta / 
Nessun tocco o carezza / nessun bacio d’intrigo /
S’avvicina la morte / e l’aspetto da solo /
 Singolare contesa / nel silenzio rotondo

Lo stesso Autore ci avvisa nella nota al libro:
[…La raccolta parte da un in principio (il bere­shit che apre la Torah), per arrivare a un nuovo, ulteriore cominciamento. E in principio c’è la paura della morte, ma anche il suo ineffabile e mostruoso fascino.]

Quanto metto di volontà nei gesti? / Fletto la gamba o questa cede da sé?
Tremore d’ansia o brivido demente?
L’anima ancor fiera / non vuole risposte / dal corpo che smuore

In questa nuova raccolta avverto una maggiore attenzione al ritmo e alla musicalità del verso, tralasciando la punteggiatura, spesso d’obbligo, inutile o meno attenta, e come 'sinfonia' chiude di volta in volta il verso con naturalezza.
Anche probabile l’ascolto e la lettura di tanta poesia da congelatore da spingerlo oltre la noia del presente cercando altrove bellezza e stupore, e ogni traccia diventa riga sino a concludere ogni volta una storia completa. Il lettore rileggendo potrà interpretare in modo diverso ognuna di queste 'storie'.
Così nell'allontanarsi fino a sparire, il Poeta traccia il proprio cammino, abbandona la giovinezza, dimentica l'infanzia e quasi gusta il proprio cammino verso la fine.
Libro da leggere, rileggere e "tenere sul comodino" a portata di mano.

Insidiose letargie / intonano canti / dal ventre grasso / della terra esplorata

Coro di sirene / che illude il viandante / Il già detto / è in agguato
Poi spuntano viole / dai petali setosi / Le carezza il savio / con mano muta
Il folle ne fa ghirlanda / per ornare il nuovo regno / delle voci che verranno
Benedetto sia / ogni grano / di stupore

Ma lo stupore dalla tregua passa al rammarico:

Notte
Legni si piegano / sotto il peso dei libri / Macchine e carte / 
mordono il tavolo / che piange nel buio / con gemito sottile
Notte / La sedia respira / senza il mio peso / Leggerò domani / ciò che non ho scritto

Dall'ombra grigia verso il buio, nella solitudine del cammino verso il nulla o la morte, o la ricerca attraverso la Storia, anzi le molte Storie frequentate dall'Autore, di accenni di speranza, bellezza o quiete.

Traggo ancora dal libro:
1.
Rabbi Bunam ebbe a dire:

Continuamente passiamo
attraverso due porte:
fuori di questo mondo
dentro il mondo futuro
e di nuovo fuori e dentro
Fintanto*

Si rallegra il giovane
cui un demone gentile
assegna lieti istanti
di luce e grazia

Memoria garbata
di giorni beati
sarà trofeo
di quella fortuna

È benevolo
il piccolo dio

Poi

Avide ombre appaiono
Materia d’illusione
Parvenze di senso
che urlano senza dire

* Da I racconti dei chassidìm, op. cit.

2.
Insidiose letargie
intonano canti
dal ventre grasso
della terra esplorata

Coro di sirene
che illude il viandante

Il già detto
è in agguato

Poi spuntano viole
dai petali setosi

Le carezza il savio
con mano muta

Il folle ne fa ghirlanda
per ornare il nuovo regno
delle voci che verranno

Benedetto sia
ogni grano
di stupore

3.
A rabbi Aronne fu chiesto
cosa avesse imparato
dal suo maestro
il grande Magghid
“Nulla” rispose questi
“Ho imparato il nulla
il senso intimo del nulla
Ho capito che sono nulla

e che pure sono”3
I margini del nulla
non sono luce o buio
eppure hanno voce
sottile e impensata

Ai margini del nulla
cieco sta un lume spento
nella tenebra smagliante

Stefano Iori è nato a Mantova nel 1951. Dal 1979 al 1985 ha svolto un’intensa attività teatrale e televisiva, in Italia e all'estero, come attore e regista. Debuttò come saggista nel 1992, firmando il volume Scritture del teatro (edizioni Provincia di Mantova). Iscritto all'Albo dei Giornalisti Professionisti, è stato redattore del quotidiano La Voce di Mantova dal 1992 al 1999.
Si è rivelato al pubblico e alla critica con la filmografia ragionata I Grandi del cinema. Tinto Brass (Gremese Editore, Roma, 2000). Ha collaborato con vari editori in qualità di curatore, fra questi anche Editoriale Giorgio Mondadori. Ha firmato tre libri di poesia: Gocce scalze (Albatros Il Filo, Roma, 2011), Sottopelle (Kolibris, Ferrara, 2013, con prefazione di Gio Ferri) e L’anima aggiunta (Edizioni SEAM, Roma, 2014, con prefazione di Beppe Costa e traduzione inglese a fronte; seconda edizione per i tipi Pellicano, 2017). Nel 2015 ha pubblicato il romanzo La giovinezza di Shlomo (Gilgamesh Edizioni, Mantova). È direttore responsabile dei "Quaderni del Premio Letterario Giuseppe Acerbi" e della rivista di poesia "Versante Ripido", nonché direttore artistico del Mantova Poesia-Festival Internazionale Virgilio e del Sirmio International Poetry Festival. È condirettore del blog di poesia Trasversale e coordinatore del Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Sue poesie, oltre che in inglese, sono state tradotte in spagnolo, lituano e rumeno.