Alessandra Trevisan: Le spalle al mare

Con Le spalle al mare Alessandra Trevisan affronta il tema dell’incontro con sé attraverso l’altro nel tentativo – sublime e (forse) riuscito – di ritrovare il noi, come si legge nella breve nota che introduce i testi: […Da qui, la sua poesia che trasmette un’idea di limpidezza, di azzurrità, di amore segue la “partitura” di una volontà inesausta di “circostanziare una nascita”, nella vita e nella scrittura…]. Un percorso che, disperatamente molti (me compreso, inutilmente) avrebbero voluto fare. Attenta studiosa di autori dimenticati, (questo ci ha fatto incontrare) soprattutto della scrittura femminile con diversi saggi che fanno luce sulle difficoltà delle donne di venire ascoltate e, quindi lette e pubblicate, dalla cultura che ci consegnano gli asserviti al potere imperante nelle maggiori case editrici.
Al contrario del poderoso e attento saggio Nel mio baule mentale, per una ricerca sugli inediti di Goliarda Sapienza, (Aracne 2020), nella sua poesia la parola appare distillata, essenziale, a volte si avvale d'un solo verso: "Se tendi all’uno estingui il simbolo". o due: "Ricostruire, rifare / la fila del mare".
Conoscendo da anni l’Autrice sono portato a pensare a un titolo simile, ma tanto diverso: Le spalle al muro, come riflesso di ciò cui prima accennavo. Lascia l’Università che, personalmente, vedo come muro, per ritrovare l'entusiasmo verso le passioni indispensabili cui crede, impegnandosi ancor più nella ricerca senza condizionamento alcuno, dando vita insieme a Viviana Fiorentino al collettivo “Le Ortique", continuando l’impegno come lyricist e musicista. La silloge edita nel 2021 è risultato della 6a edizione del Premio nazionale di poesia “Arcipelago Itaca”, Opera prima.
per acquistare il libro clicca QUI

di seguito alcune poesie

C’è davvero l’oltre-modo
l’oltretutto, l’oltre mondo e il dire
che sappiamo dove andiamo
a cerchio chiuso, insieme
con parole inzuppate di divenire.
Scelgo la scelta
come allora dicevo in quel
me che non più riconosco,
in questo noi che ora riluce
scelgo di venire a noi / di-venire.

*

Assorbo tutte le similitudini:
convergono dove ci sentiamo
esclusi, in un urlo salvo.
La memoria resta protesa con cifra
di rabdomante e voce di festa.

*

Persuadere il tempo
nella gloria intatta
di tutto l’andare
di sete e fame:
è ardore rivendicare,

*

Ho chiesto di tornare indietro
per ripartire l’origine.
Ci dev’essere una dimensione
che ci persuade a fare pensiero,
un sapere senza valore,
per muoversi oltre, tentare.

*

Da sotto il nuovo velo
che apre a un finale
ricordare i segni quando
prima, nel sale
saliva il regno.
Eravamo noi, le spalle al mare,
a dirci primi.
E sentire come non finisce amare
te e ogni parte.

*

Sapere dove questi opposti collimano
dentro di noi quando noi siamo.
Ci vuole mistero e benedizione.
Il sostegno è nominale da ogni lato,
in ogni cosa.
 

Alessandra Trevisan è studiosa di letteratura italiana contemporanea, lyricist e cantante. Ha pubblicato la monografia Goliarda Sapienza: Una voce intertestuale, (La Vita Felice, 2016) e altri contributi su quest’autrice si rintracciano in saggi su riviste. L’attenzione rivolta al Novecento le ha permesso di occuparsi anche di Gabriele d’Annunzio, Matilde Serao, Milena Milani, Clara Sereni, Adele Cambria, Anna Maria Ortese e Beppe Costa, Lalla Kezich e di altre voci anche viventi, tra cui quella della poeta Silvia Salvagnini. Nel 2020 pubblica con Aracne il saggio Nel mio baule mentale: per una ricerca sugli inediti di Goliarda Sapienza, con postfazione di Ilaria Crotti.

Marcello Aslan: Diario d’Africa italiano - inglese

Diario d’Africa, 22 Febbraio 2022

Siamo in viaggio da qualche ora per strade sterrate. Tentiamo di distanziare un rinoceronte che, oramai lontano, pare avere un ripensamento e decide di caricarci.

Sotto l’urto, come una barca investita da un’onda, la Jeep si adagia su un fianco. Le ruote girano senza presa. Sortita l’uscita dai finestrini troviamo rifugio su un Baobab.

Le scimmie ci molestano. Un leopardo le ha fatte scappare. Non prima di essersi mangiate il mio pranzo, per tenerle buone. Fino a domani solo acqua, disperiamo riprendere il viaggio.

La macchina ha riportato danni, lavoriamo con i pochi strumenti che abbiamo con noi nella speranza di arrivare al prossimo villaggio. Ho perso sangue da un sopracciglio. E’ cosa lieve, eppure le iene hanno fiutato e cominciano ad avvicinarsi. Abbiamo con noi un fucile e poche cartucce.

Sistemate le ultime cose ci ritroviamo in circolo intorno al fuoco, fumando la pipa di Padouk della savana centrafricana, caricata con un blend appena speziato, profumato e dolce.

I racconti di Chagua, la guida, fanno ridere tutti, apprendiamo fantasiose ricette del nonno per tener lontane le ubbie delle tre mogli.

Improvvisamente, le iene hanno preso a correre da una parte all'altra, parevano impazzite.

La polvere ha oscurato la luna, il fuoco. I volti, illuminati alcuni istanti prima da fiamme affusolate che le foglie del cocco fanno vibrare nel buio, omaggio alla grande madre, hanno cambiato espressione.

Due colpi di fucile sono bastati ad allontanarle. Non possiamo rischiare, ne rimangono cinque.

Così, trascorsa la notte, abbiamo ripreso con lena alle prime luci dell'alba.

Il sentiero pare tracciato per indurre il viaggiatore a tornare sui suoi passi.

Sono alla guida da due ore, il panorama è di vegetazione a macchie, qualche Baobab gigante che pare un re seduto sul trono. Quindi gnu, giraffe e pascoli a perdita d’occhio.

L’indomani si prosegue su camioncini anni 50, adibiti al trasporto pubblico. Abbiamo perso la Jeep, un assalto notturno dei Tuareg.

Ci hanno svegliato tenendo le armi puntate verso il cielo. Con gentilezza hanno chiesto di lasciarli andar via senza opporre resistenza, i volti coperti dal turbante che li protegge nelle tempeste di sabbia.

Gli avvoltoi li incontreremo appena si comincerà a salire la montagna sacra, il Kilimanjaro.

Il sole a 4.000 metri è una bolla di luce bianca.

Gli avvoltoi planano lungo le valli, verso le cime, seguendo le correnti.

L'aria è rarefatta, il silenzio aiuta la mente a librarsi sugli altipiani del tetto del mondo.

Tutto dovrà cambiare....




Diario d’Africa, 27 Febbraio 2022

Lasciate le vette del Kilimanjaro, in un’alba d’aria pungente e fina, accompagnati dal volo dell’aquila delle Ande (veleggia per queste valli da quasi un secolo, una storia che merita un racconto a se), abbiamo preso un aeroplano locale, un bimotore a elica, la carrozzeria ammaccata.

Il pilota, una gamba più corta, avanza ondeggiando tra i banani.

Per un attimo pensiamo sia ubriaco, anche l’aereo pende da una parte.

Pochi minuti dal decollo, uno schianto e siamo costretti all’atterraggio. La depressione della carlinga ha strappato via il portellone, i bagagli miracolosamente al loro posto.

Dovevamo raggiungere l'aeroporto internazionale di Dar Es Salaam.

L’Europa si allontana.

Continuiamo con un trenino che attraversa la savana del Kojongo, la più impervia, abitata dalle ultime tribù di cacciatori di teste.

Nonostante fuori si sfiorino i 40 gradi viaggiamo con i finestrini chiusi. Cercare un po’ d’aria può rivelarsi fatale. Hanno lunghe cerbottane, i dardi avvelenati raggiungono distanze impensabili, talvolta sorprendendo le prede nel sonno.

Dopo il Kojongo attraverseremo le pianure dell'altipiano della mangrovia d’acqua dolce, unica aerea geografica che la ospita.

Viaggiatori e scrittori vi hanno dedicato le parole più raffinate per descriverla, mai sfiorandola.

I fiori rosa e bianchi lanciano riflessi al tramonto che sfuggono la penna come quegli animali selvatici che non riusciamo a inquadrare l’istante di uno scatto. Alziamo lo sguardo e ci chiediamo sia stata la nostra immaginazione, non ve ne è traccia.

Il trenino rallenta in prossimità di una piccola stazione, tra una cava abbandonata ed una forra del Goroinoa. Qualche passeggero scende in corsa, gli lanciano le poche cose che porta con se, sovente uno scatolone o delle sacche piene di oggetti, di frutta, tenute assieme da elastici ricavati da camere d’aria di bicicletta.

Nella pianura splendide livree al pascolo vicino al corso d’acqua.

Un alligatore sorprende per l’agilità con cui afferra e trascina con se una zebra, incurante il pericolo sotto lo sprone della sete. Le cornacchie si alzano in volo strepitando, come fosse toccato ad una di loro.

Tutto finisce in pochi secondi.

Gli occhi dei viaggiatori sbarrati, le goccioline di sudore filano lungo la fronte e fanno riprendere il regolare battito di ciglia.

Anche il trenino guadagna velocità, l’ultimo passeggero con un salto aggancia la carrozza di coda…rimane così, il corpo una bandiera.

“I tagliatori di teste hanno altro da fare, è luna piena”, ci dice il macchinista aprendo uno spiraglio a far entrare un po’ d’aria.

La savana si dirada, l’occhio spazia ora su distese di mangrovia, giganteschi Baobab e risaie disegnate nei confini di fango.

Il sole si avvicina alla linea dell’orizzonte poggiandosi alle nuvole che cingono le colline del lago Hasani, riflesse nello specchio d’acqua assieme alle grandi ali della cicogna rosa.

Il cuore batte lento a scandire una qualità del tempo che vorremmo afferrare, come l’alligatore la zebra, noi la vita…


Foto di Marcello Aslan

Diary of Africa, February 22, 2022

We have been traveling for a few hours on dirt roads. We try to outdistance a rhino who, now far away, seems to have second thoughts and decides to charge us.

Under the impact, like a boat hit by a wave, the Jeep lays on its side. The wheels spin without grip. After exiting the windows we find refuge on a Baobab.

Monkeys harass us. A leopard made them run away. Not before eating my lunch, to keep them quiet. Until tomorrow only water, we despair of continuing the journey.

The car was damaged, we work with the few tools we have with us in the hope of reaching the next village. I bled from an eyebrow. It's a slight thing, yet the hyenas have smelled and are starting to approach. We have a rifle and a few cartridges with us.

Having arranged the last things, we find ourselves in a circle around the fire, smoking a Padouk pipe from the Central African savannah, loaded with a slightly spicy, fragrant and sweet blend.

The stories of Chagua, the guide, make everyone laugh, we learn imaginative recipes from his grandfather to keep away the whims of the three wives.

Suddenly, the hyenas started running from side to side, they seemed crazy.

The dust obscured the moon, the fire. The faces, illuminated a few moments earlier by tapered flames that the coconut leaves make vibrate in the dark, a tribute to the great mother, have changed expression.

Two rifle shots were enough to drive them away. We can't risk it, there are five left.

So, after the night, we resumed with vigor at the first light of dawn.

The path seems to have been traced to induce the traveler to retrace his steps.

I've been driving for two hours, the landscape is patchy vegetation, some giant Baobabs that look like a king sitting on a throne. Then wildebeest, giraffes and pastures as far as the eye can see.

The next day we continue on 1950s vans used for public transport. We lost the Jeep, a night assault by the Tuaregs.

They woke us up with guns pointed at the sky. They politely asked to let them leave without resistance, their faces covered by the turban that protects them in the sandstorms.

We will meet vultures as soon as we begin to climb the sacred mountain, Kilimanjaro.

The sun at 4,000 meters is a bubble of white light.

Vultures glide along the valleys, towards the peaks, following the currents.

The air is rarefied, the silence helps the mind to soar over the plateaus of the roof of the world.

Everything will have to change...



Diary of Africa, February 27, 2022.

Leaving the peaks of Kilimanjaro, in a dawn of pungent and fine air, accompanied by the flight of the eagle of the Andes (it has been sailing through these valleys for almost a century, a story that deserves a story in itself), we took a local plane , a twin-engine propeller, the body dented.

The pilot, one leg shorter, waddles through the banana trees.

For a moment we think he is drunk, even the plane leans to one side.

A few minutes after take-off, a crash and we are forced to land. The depression of the cockpit tore off the tailgate, the luggage miraculously in its place.

We needed to get to Dar Es Salaam International Airport.

Europe moves away.

We continue with a small train that crosses the Kojongo savannah, the most impervious, inhabited by the last tribes of headhunters.

Although it is almost 40 degrees outside, we travel with the windows closed. Looking for some air can prove fatal. They have long blowguns, the poisoned darts reach unthinkable distances, sometimes surprising the preys in their sleep.

After the Kojongo we will cross the plains of the freshwater mangrove plateau, the only geographical area that hosts it.

Travelers and writers have dedicated the most refined words to describe it, never touching it.

The pink and white flowers cast reflections at sunset that escape the pen like those wild animals that we can't frame the instant of a shot. We look up and wonder was it our imagination, there is no trace of it.

The little train slows down near a small station, between an abandoned quarry and a Goroinoa ravine. Some passengers run down, they throw him the few things he carries with him, often a box or bags full of objects, fruit, held together by elastic bands made from bicycle inner tubes.

In the plain, splendid liveries grazing near the stream.

An alligator is surprising for the agility with which it grabs and drags a zebra with it, regardless of the danger under the spur of thirst. The crows fly up screaming, as if it was the turn of one of them.

It all ends in seconds.

The travellers' eyes wide open, the droplets of sweat run along the forehead and make the regular blinking resume.

Even the little train gains speed, the last passenger hooks up with the rear carriage with a jump…it stays like this, the body a flag.

“The head cutters have other things to do, it's a full moon,” the engineer tells us, opening a crack to let in some air.

The savannah thins out, the eye now sweeps over expanses of mangroves, gigantic Baobabs and rice paddies drawn in the confines of mud.

The sun approaches the horizon line resting on the clouds that surround the hills of Lake Hasani, reflected in the mirror of water together with the large wings of the pink stork.

The heart beats slowly to mark a quality of time that we would like to grasp, like the alligator the zebra, we life…


Ciò che l'Isola dice, capriccio sul mal di Sardegna di Cristina Annino e Ugo Magnanti

Due autori, tre voci, un musicista, un'Isola: un canto, incanto è Ciò che l'Isola dice, Capriccio sul mal di Sardegna, (FusibiliaLibri) (volume corredato da cd) di Cristina Annino, fra le maggiori poetesse italiane, scomparsa lo scorso gennaio e Ugo Magnanti, critico e poeta fra i più riservati, con particolare attenzione alla poesia dei giovani, cui dedica incontri nella scuola dove insegna. Ai due poeti, che sono anche lettori si aggiunge la voce di Maria Luisa Bigai e il notevole tappeto musicale con la chitarra di Fausto Ciotti.

ISBN 9788898649891 pp. 40. € 15,00, 2022


Freme la pelle alla voce calda, alla musica che riporta sull'Isola (pur chi non c'è mai stato) che affascina, rimane nei pensieri di chi va una volta con la voglia di tornare: non sono le spiagge, il mare, le montagne, i borghi sperduti coi volti scavati dal sole e dalla fatica della terra di uomini e donne, è - soprattutto - il suo popolo, forte, generoso, unico, spesso, per le proteste e la voglia antica, mai sopita, di divenire nazione, con una lingua propria, (il sardo infatti non è un dialetto), cui si aggiunge la ben nota ospitalità. Non poteva quindi che il sogno costante degli autori consegnarci un testo sublime a rappresentarla. Con le parole si muovono, corrono, sostano, scattano così che, leggendo e/o ascoltando quei paesaggi a volte lenti, altre inquiete, di colline, spiagge, alberi, onde, scorrono come in un film dove il protagonista e al tempo stesso regista è un ciclista (essenziale), quindi, dato il mezzo prescelto la sua corsa non può essere avvenire senza uno sguardo panoramico e quando si ferma osserva umani o piante che d'improvviso svaniscono come per magia o forse i fantasmi di un tempo antico che vivono ancora fra rocce e nuraghi. Possiamo immaginare il pensiero d'un poeta solitario che guarda in cielo la notte stellata o due innamorati timidi che si nascondono agli occhi indiscreti  o giocano correndo e, per riprender fiato, si abbracciano scambiandosi un tenero bacio. Quasi al termine, lo sguardo del ciclista: [...Come fanghiglia, miglia marine, / feticci di nuraghi che un Dedalo / viene in discorso; un sorriso corrotto, / verdognolo, e l'Isola ci ha servito...]

Aggiungo, in particolare, per chi ama la musica oltreché la poesia, gli interventi musicali di Fausto Ciotti, sensibilità rara che ben si accoppia alle voci e ai testi. Insomma: bellissimo e intenso risultato!
Non resta che farsi dono prezioso del raffinato libro con disco in soli 200 esemplari attraverso il sito dell'editrice cliccando QUI

...e così l'inizio del dialogo fra i tre:

Testimone insulare


Quei rami le nascondono un respiro
in più di demonietti, penso così, per tutti
gli alberi dell’isola, quelli che il continuo
mutamento, frementi li suppone,
e alti, agli occhi suoi che sono d’appetito:
squadriamola dai piè fin su alla testa.

Invece lui si è fatto i tendini, si è
fatto i muscoli, si fa ciclista,
a volte, ed è essenziale come nulla,
è più occasioni, o mito (ci scherza),
o albero, o fessura, o non è cosa,
bensì solo un terrestre, un pezzo d’isola.

Ciclista essenziale


Intanto che l’afa d’estate mi
incorona, nella stasi di ovunque,
preso per la spoglia, ^non è che piano
piano con la polvere addosso mi ci
debba dire un’orazione? Accostato
a lei sarebbe meglio, sentirei
il doppio, e di tutto, allora mi avvicino,
perché se la landa non è cieca
e non si espande, chi mai la vuole?

Una bruxa 

Finiti i crepacci, devo tirare i bracci
su da questi sassi. Dicendo
“che libidine”; io fracasso
le mie vie coi picchi. Volo, al centesimo
d’ora, vivo senza preghiere abbeverando
pozzi sacri, sempre sopra la stuoia
d’ossessive fragranze dei rami di
piante spalancate sull’acqua viola.

Cristina Annino (1941-2022) una delle più note poetesse italiane. Fra le  pubblicazioni più note Magnificat. Poesie 1969-2009 (PuntoaCapo, 2010), Anatomie in fuga (Donzelli, 2016), Le perle di Loch Ness (Arcipelago Itaca, 2019). Presente in antologie, fra le quali Il pensiero dominante, poesia italiana 1970-2000, (Garzanti, 2001), e Antologia di poeti contemporanei - Tradizioni e innovazione in Italia, (Mursia, 2016

Ugo Magnanti ha pubblicato diverse opere di poesia, tra le quali, più recentemente, l’auto antologia Il nome che ti manca (peQuod, 2019), il poemetto in ‘stanze’ L’edificio fermo, (FusibiliaLibri, 2015), e la plaquette Ciclocentauri, con tavole di Gian Ruggero Manzoni (FusibiliaLibri, 2017). Fra le tante presenze a manifestazioni di poesia, nel 2012 ha partecipato al 49° “Festival internazionale degli scrittori di Belgrado.

Fausto Ciotti compositore e polistrumentista, ha realizzato numerosi album discografici come autore, arrangiatore ed esecutore, tra gli altri: Fàghth Note, Passages, Goes thè Mind, Spagna e Italia nel XIX Secolo, abbracciando generi dalla musica classica al jazz alla world music. Da quasi quaranta anni svolge la sua attività concertistica in Italia e all’estero. Ha partecipato alla realizzazione di diversi programmi radiofonici e televisivi della RAI e di altre emittenti radiotelevisive nazionali.


Terra è casa, poesie contro la guerra

𝐓𝐞𝐫𝐫𝐚 è 𝐜𝐚𝐬𝐚
(𝐟𝐢𝐧𝐜𝐡é 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐛𝐮𝐭𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐠𝐢ù) 1a parte

con i poeti: Claudio Moica, Daniela Dante, Evan Myquest, Lucianna Argentino
Nikolle Loka, Rudina Muharremi, Beja Simone Principe
Valbona Jakova, Vito Davoli

e i musicisti: Federica Marelli pianoforte e voce Matteo Cavicchini i pianoforte,
tappeto musicale tratto da Metà del tempo di Beppe Costa e Nicola Alesini,
letture dalle lingue originali di Marcello Aslan

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𝐓𝐞𝐫𝐫𝐚 è 𝐜𝐚𝐬𝐚
(𝐟𝐢𝐧𝐜𝐡é 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐛𝐮𝐭𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐠𝐢ù) 2a parte
con i poeti: Sara Capoccioni, Marco Cinque, Poul Lynggaard Damgaard,
Rossana Jemma, Mauro Macario, Patrizia Nizzo, Cristina Polli, Luan Rama 
Teuta Shaqiraj, Olimbi Velaj

tappeto musicale e intervento del M° Matteo Cavicchini
letture di Vito Davoli - traduzioni di Era Buçpapaj, Vito Davoli, Valbona Jakova

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𝐓𝐞𝐫𝐫𝐚 è 𝐜𝐚𝐬𝐚
(𝐟𝐢𝐧𝐜𝐡é 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐛𝐮𝐭𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐠𝐢ù) 3a parte

con i poeti: Alfredo Pérez Alencart, Era Buçpapaj, Uke Buçpapaj, 
Nora Capomastro, Roberta De Tomi, Adel Khozam, Ugo Magnanti
Fabiola Sali, Tendo Taijin
tappeto musicale e intervento del M° Matteo Cavicchini
letture di Marcello Aslan, Vito Davoli 
traduzioni di Era Buçpapaj, Beppe Costa, Vito Davoli
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Nicola Giannattasio, Scritti randagi


Seguo con interesse da anni Nicola Giannattasio, scoperto su YouTube come chitarrista “dilettante", successivamente iniziai a leggerlo nella pagine di facebook (quando la rete è utile) scoprendone l’impegno, soprattutto l’amore verso il nostro Sud, la cultura soprattutto verso la nostra storia troppo spesso distorta a secondo della parte politica del saggista, storico o giornalista, aggiungendo poi storie ricche di colore e d’ironia (e sofferenze) della migrazione con i genitori in Venezuela. La passione per il calcio disturbato dallo strapotere delle squadre del Nord, per la fotografia e, soprattutto, della sua Scario dove gestisce la pizzeria “Luna Nuova”, attraversando - come si può immaginare - le difficoltà per la pandemia e per la concorrenza che, in questo campo, diventa lotta per la sopravvivenza.

Tutto questo (descritto in breve) non è poco e, quindi, non poteva non accadere, forse un po’ alla volta, leggendo i classici amati di versi, di filosofia e di storia che scrivesse egli stesso sempre più versi e più frequentemente (utilizzando pseudonimi fra i più insoliti e curiosi) attento nell'evitare scivoloni in banalità, cosa costante da tempo anche questa, purtroppo, dovuta alla rete dove anche stirare mutande si stende supinamente in versi esposti agli amici plaudenti!

In versi fotografa l’insieme di una umanità sonnolente, annoiata, indifferente o cieca alle tragedie che trasformano l’umanità in macerie dove il dio universale è il denaro e, quindi il potere, ma altrettanto fa con se stesso mostrando l’interno di sé che vede sconfitto, morente, la visione di un insieme che contiene molti, troppi di noi, impotenti, stupiti dalla bellezza sopraffatta da tanto orrore, non ultimo la possibilità di vivere anche economicamente un po’ più sereno.

Così in questi giorni diventa libro da leggere d’un fiato: Scritti randagi pubblicato da Edizioni Straordinarie, le modalità per l’acquisto le fornisce lo stesso autore bella propria pagina che trovate cliccando QUI 

Di questi testi fratelli, compagni, necessari ne propongo alcuni: 

Straziante solitudine

Questo navigare nell’etere è buio

fragoroso silenzio che perfora i timpani
in una tastiera l’apparente connessione
di milioni di essere umani

Lo schermo il Sole di giorno
luce lunare di notte
i passi sedentari sotto vacue scrivanie
nell’agorà di imperterriti disillusi.

Reagiamo ? Non credo !

Chi ha osato chiudere i nostri sogni
dentro ragnatele di file?
C’è un vuoto nei cuori
nei nostri derubati cuori
straziante solitudine

Un pozzo di nome tristezza

Buttai la vita
dentro un pozzo
di nome tristezza
la buttai lì tanto tempo fa
La morte non mi voleva
se ne stava buona
sull’uscio di casa
io la vedevo, la presenziavo
devi vivere diceva
e io inorridito ascoltavo
Non sapevo chi delle due
fosse più cinica
la vita o la morte!

In quel pozzo
di nome tristezza
passai il resto dei miei giorni
Fu indolore il trapasso
era già abbastanza
logora la mia anima
solo dimenticai
un ultimo bicchiere di vino

La fierezza del Topo

Oggi ho visto un Topo
era bello grande
ma non più di tanto
istintivamente il mio primo pensiero
è stato quello di rincorrerlo
e dargli un calcio fino a tramortirlo
poi però ho pensato di spaventarlo soltanto


Ormai ero vicinissimo a lui
ma stranamente non si muoveva
ho posato leggermente il piede sulla sua coda
quello si è girato di scatto a mo’ di sfida
ma non fuggiva
era una situazione davvero strana
e la faccia del topo cominciava a farmi tenerezza
rimembravo Topolino e Topogigio
Poi una signora che passava lì vicino
mi ha spiegato che aveva messo del veleno per topi
e che il topo stava morendo

In quell’ultimo anelito di vita
si era scontrato con me
e ho avuto stima della sua fierezza

Ai tempi del 5G

 Dove sono le mie fotografie ?
E le mie Musiche?
Dove sono le mie poesie ?
Segni primitivi incisi
su dei supporti di nebbia
di uno sprezzante futuro
impossibilitato a guardarsi indietro

Sud

Vertebre asfissianti
di orizzonte finito
corrugamenti evidenti
in terre di fuoco

Terra tremula
che mi desti i natali
terra florida
solo per pochi
Terra avara
per i figli del dolore
terra che consuma
terra che ti scaccia

Terra millenaria
di mediterranea riva
terra di invasori
tutti hanno vissuto qui

Tutti arrivano qui
e tutti vanno via da qui
il sole spinge i suoi sprazzi
e non lenisce le piaghe.

Chi volesse acquistare una copia di Scritti Randagi di Nicola Giannattasio, ha attualmente due modalità a disposizione per versare il contributo richiesto di 5,00 € che include la spedizione ordinaria del plico:
1. Versamento PayPal (preferibilmente "Amici e conoscenti" vista la piccola entità della somma) a : alex.pepe@atauta.it
2. Bonifico bancario all'iban IT20 L035 7601 6010 1000 0197 704 di BBVA intestato ad Alex Pepe.
Una volta completata la procedura pagamento vi consigliamo di comunicare a mezzo messaggio o mail, l'indirizzo a cui gradite ricevere la spedizione del volume.

Lucianna Argentino: In canto a te

durante una manifestazione a Roccagorga

Già dal titolo appare ben chiaro che l’Autrice trova quel che nell’adolescenza aveva - come tanti - cercato.

Un cantico di ciò cui i poeti spesso scrivono, in questi tempi forse con molto timore e timidezza. Riesce con questo libro a donare a un lui, a un noi e, certamente a se stessa, qualcosa smarrita nella forse stupida corsa di una qualche realizzazione. Questa parola ormai divenuta quasi oscena è la continua ricerca del senso pieno del vivere che noi - e neanche Lei fa, né intendo farlo io - citiamo.

La certezza è che qualche volta, poche per la verità oggi, questo nuovo libro di Lucianna Argentino (fra le più note poetesse italiane), In canto a te, ci svela quel che in realtà cerchiamo, in una età che ci trova troppo spesso impreparati. Lascio al lettore la splendida nota critica di Gabriella Musetti che introduce il libro.

alcune delle poesie contenute nel libro



Io sono l’agnello
e lui la lama cui offro il collo
il coltello per il sacrificio
a un dio che dimora nel mio ventre.

***

Perdonami
per non aver compreso allora
quanto profondo fosse l’amore
questo che ha attraversato
primavere renitenti e inverni caparbi
e approda ora alla nostra estate piena
con lo stesso volto
gli occhi arrossati dal rimpianto
le mani giunte in preghiera
per la grazia del qui e ora
noi liberi dal per sempre
ché eterno sarà l’essere stati.

***

Nell’assenza compresi quanta vita ci vuole
per capire il come e il cosa dell’amore,
ma quanti i battiti perduti, quanto il calore disperso.
L’imparai sottraendomi alla verità.
Riemerse poi. Lui lontano –
un nome reticente sulla punta della lingua.
Io nello spavento, nella teoria
fui giuda di me stessa allora
che non sapevo come può stare
nel nome di un’ombra
tutta la luce che lui ora riporta alla mia riva.

***

C’è voluto tutto il tempo e una gelosa cura
perché il giorno in lui trovasse la sua voce
e una grazia acerba lo battezzasse col suo vero nome
vero sì, ma distante ancora.
Ancora nell’avvenire, ancora dove lo vorrei
pelle del mio abisso e di sconfinati dubbi pregarlo:
toccami, ricreami l’anima con le tue mani,
il corpo con il tuo sguardo; rendimi il tuo genitivo
di pertinenza, cambiami la desinenza.

***

dalla seconda parte

[…I due vagavano attoniti nel vuoto d’anni di cui erano gli
[estremi,
priva di guida la memoria andava a caso
e lei smarrita girava attorno a quella clausola
che poi, di tanto in tanto, le concedeva tregua.]…

***

[…Lui rifiatava, tornava a galla da una lunga apnea,
lo vedeva lei l’abbandono ricco in cui lui si riconquistava
e non le importava il prima. Chiuso il catalogo delle loro
[assenze,
riscritta la scacchiera. Mi hai salvato, le confessò
conquistato da quella bellezza, lei tacque in dubbio
su cosa davvero fosse salvezza.]…
Samuele Editore - 2019
ISBN 978-88-94944-13-6, p. 96, € 12.00