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Alessandra Trevisan: Le spalle al mare
Marcello Aslan: Diario d’Africa italiano - inglese
Diario d’Africa, 22 Febbraio 2022
Siamo in viaggio da qualche ora per strade sterrate. Tentiamo di distanziare un rinoceronte che, oramai lontano, pare avere un ripensamento e decide di caricarci.
Sotto l’urto,
come una barca investita da un’onda, la Jeep si adagia su un fianco. Le ruote
girano senza presa. Sortita l’uscita dai finestrini troviamo rifugio su un
Baobab.
Le scimmie
ci molestano. Un leopardo le ha fatte scappare. Non prima di essersi mangiate
il mio pranzo, per tenerle buone. Fino a domani solo acqua, disperiamo
riprendere il viaggio.
La macchina
ha riportato danni, lavoriamo con i pochi strumenti che abbiamo con noi nella
speranza di arrivare al prossimo villaggio. Ho perso sangue da un sopracciglio.
E’ cosa lieve, eppure le iene hanno fiutato e cominciano ad avvicinarsi. Abbiamo
con noi un fucile e poche cartucce.
Sistemate le
ultime cose ci ritroviamo in circolo intorno al fuoco, fumando la pipa di
Padouk della savana centrafricana, caricata con un blend appena speziato, profumato
e dolce.
I racconti
di Chagua, la guida, fanno ridere tutti, apprendiamo fantasiose ricette del
nonno per tener lontane le ubbie delle tre mogli.
Improvvisamente,
le iene hanno preso a correre da una parte all'altra, parevano impazzite.
La polvere
ha oscurato la luna, il fuoco. I volti, illuminati alcuni istanti prima da fiamme
affusolate che le foglie del cocco fanno vibrare nel buio, omaggio alla grande
madre, hanno cambiato espressione.
Due colpi di
fucile sono bastati ad allontanarle. Non possiamo rischiare, ne rimangono
cinque.
Così,
trascorsa la notte, abbiamo ripreso con lena alle prime luci dell'alba.
Il sentiero
pare tracciato per indurre il viaggiatore a tornare sui suoi passi.
Sono alla
guida da due ore, il panorama è di vegetazione a macchie, qualche Baobab
gigante che pare un re seduto sul trono. Quindi gnu, giraffe e pascoli a
perdita d’occhio.
L’indomani si
prosegue su camioncini anni 50, adibiti al trasporto pubblico. Abbiamo perso la
Jeep, un assalto notturno dei Tuareg.
Ci hanno
svegliato tenendo le armi puntate verso il cielo. Con gentilezza hanno chiesto
di lasciarli andar via senza opporre resistenza, i volti coperti dal turbante
che li protegge nelle tempeste di sabbia.
Gli avvoltoi
li incontreremo appena si comincerà a salire la montagna sacra, il Kilimanjaro.
Il sole a
4.000 metri è una bolla di luce bianca.
Gli avvoltoi
planano lungo le valli, verso le cime, seguendo le correnti.
L'aria è
rarefatta, il silenzio aiuta la mente a librarsi sugli altipiani del tetto del
mondo.
Tutto dovrà
cambiare....
Lasciate le
vette del Kilimanjaro, in un’alba d’aria pungente e fina, accompagnati dal volo
dell’aquila delle Ande (veleggia per queste valli da quasi un secolo, una
storia che merita un racconto a se), abbiamo preso un aeroplano locale, un
bimotore a elica, la carrozzeria ammaccata.
Il pilota, una
gamba più corta, avanza ondeggiando tra i banani.
Per un
attimo pensiamo sia ubriaco, anche l’aereo pende da una parte.
Pochi minuti
dal decollo, uno schianto e siamo costretti all’atterraggio. La depressione
della carlinga ha strappato via il portellone, i bagagli miracolosamente al
loro posto.
Dovevamo
raggiungere l'aeroporto internazionale di Dar Es Salaam.
L’Europa si
allontana.
Continuiamo
con un trenino che attraversa la savana del Kojongo, la più impervia, abitata
dalle ultime tribù di cacciatori di teste.
Nonostante fuori
si sfiorino i 40 gradi viaggiamo con i finestrini chiusi. Cercare un po’ d’aria
può rivelarsi fatale. Hanno lunghe cerbottane, i dardi avvelenati raggiungono
distanze impensabili, talvolta sorprendendo le prede nel sonno.
Dopo il
Kojongo attraverseremo le pianure dell'altipiano della mangrovia d’acqua dolce,
unica aerea geografica che la ospita.
Viaggiatori
e scrittori vi hanno dedicato le parole più raffinate per descriverla, mai
sfiorandola.
I fiori rosa
e bianchi lanciano riflessi al tramonto che sfuggono la penna come quegli
animali selvatici che non riusciamo a inquadrare l’istante di uno scatto. Alziamo
lo sguardo e ci chiediamo sia stata la nostra immaginazione, non ve ne è
traccia.
Il trenino
rallenta in prossimità di una piccola stazione, tra una cava abbandonata ed una
forra del Goroinoa. Qualche passeggero scende in corsa, gli lanciano le poche
cose che porta con se, sovente uno scatolone o delle sacche piene di oggetti, di
frutta, tenute assieme da elastici ricavati da camere d’aria di bicicletta.
Nella
pianura splendide livree al pascolo vicino al corso d’acqua.
Un alligatore
sorprende per l’agilità con cui afferra e trascina con se una zebra, incurante
il pericolo sotto lo sprone della sete. Le cornacchie si alzano in volo
strepitando, come fosse toccato ad una di loro.
Tutto
finisce in pochi secondi.
Gli occhi dei
viaggiatori sbarrati, le goccioline di sudore filano lungo la fronte e fanno
riprendere il regolare battito di ciglia.
Anche il
trenino guadagna velocità, l’ultimo passeggero con un salto aggancia la
carrozza di coda…rimane così, il corpo una bandiera.
“I
tagliatori di teste hanno altro da fare, è luna piena”, ci dice il macchinista
aprendo uno spiraglio a far entrare un po’ d’aria.
La savana si
dirada, l’occhio spazia ora su distese di mangrovia, giganteschi Baobab e
risaie disegnate nei confini di fango.
Il sole si
avvicina alla linea dell’orizzonte poggiandosi alle nuvole che cingono le
colline del lago Hasani, riflesse nello specchio d’acqua assieme alle grandi
ali della cicogna rosa.
Il cuore
batte lento a scandire una qualità del tempo che vorremmo afferrare, come l’alligatore
la zebra, noi la vita…
Foto di Marcello Aslan |
We have been traveling for a few hours on dirt roads.
We try to outdistance a rhino who, now far away, seems to have second thoughts
and decides to charge us.
Under the impact, like a boat hit by a wave, the Jeep
lays on its side. The wheels spin without grip. After exiting the windows we
find refuge on a Baobab.
Monkeys harass us. A leopard made them run away. Not
before eating my lunch, to keep them quiet. Until tomorrow only water, we
despair of continuing the journey.
The car was damaged, we work with the few tools we
have with us in the hope of reaching the next village. I bled from an eyebrow.
It's a slight thing, yet the hyenas have smelled and are starting to approach.
We have a rifle and a few cartridges with us.
Having arranged the last things, we find ourselves in
a circle around the fire, smoking a Padouk pipe from the Central African
savannah, loaded with a slightly spicy, fragrant and sweet blend.
The stories of Chagua, the guide, make everyone laugh,
we learn imaginative recipes from his grandfather to keep away the whims of the
three wives.
Suddenly, the hyenas started running from side to side,
they seemed crazy.
The dust obscured the moon, the fire. The faces,
illuminated a few moments earlier by tapered flames that the coconut leaves
make vibrate in the dark, a tribute to the great mother, have changed
expression.
Two rifle shots were enough to drive them away. We
can't risk it, there are five left.
So, after the night, we resumed with vigor at the
first light of dawn.
The path seems to have been traced to induce the
traveler to retrace his steps.
I've been driving for two hours, the landscape is
patchy vegetation, some giant Baobabs that look like a king sitting on a
throne. Then wildebeest, giraffes and pastures as far as the eye can see.
The next day we continue on 1950s vans used for public
transport. We lost the Jeep, a night assault by the Tuaregs.
They woke us up with guns pointed at the sky. They
politely asked to let them leave without resistance, their faces covered by the
turban that protects them in the sandstorms.
We will meet vultures as soon as we begin to climb the
sacred mountain, Kilimanjaro.
The sun at 4,000 meters is a bubble of white light.
Vultures glide along the valleys, towards the peaks,
following the currents.
The air is rarefied, the silence helps the mind to
soar over the plateaus of the roof of the world.
Everything will have to change...
Leaving the peaks of Kilimanjaro, in a dawn of pungent
and fine air, accompanied by the flight of the eagle of the Andes (it has been
sailing through these valleys for almost a century, a story that deserves a
story in itself), we took a local plane , a twin-engine propeller, the body
dented.
The pilot, one leg shorter, waddles through the banana
trees.
For a moment we think he is drunk, even the plane
leans to one side.
A few minutes after take-off, a crash and we are
forced to land. The depression of the cockpit tore off the tailgate, the
luggage miraculously in its place.
We needed to get to Dar Es Salaam International
Airport.
Europe moves away.
We continue with a small train that crosses the
Kojongo savannah, the most impervious, inhabited by the last tribes of
headhunters.
Although it is almost 40 degrees outside, we travel
with the windows closed. Looking for some air can prove fatal. They have long
blowguns, the poisoned darts reach unthinkable distances, sometimes surprising
the preys in their sleep.
After the Kojongo we will cross the plains of the
freshwater mangrove plateau, the only geographical area that hosts it.
Travelers and writers have dedicated the most refined
words to describe it, never touching it.
The pink and white flowers cast reflections at sunset
that escape the pen like those wild animals that we can't frame the instant of
a shot. We look up and wonder was it our imagination, there is no trace of it.
The little train slows down near a small station,
between an abandoned quarry and a Goroinoa ravine. Some passengers run down,
they throw him the few things he carries with him, often a box or bags full of
objects, fruit, held together by elastic bands made from bicycle inner tubes.
In the plain, splendid liveries grazing near the
stream.
An alligator is surprising for the agility with which
it grabs and drags a zebra with it, regardless of the danger under the spur of
thirst. The crows fly up screaming, as if it was the turn of one of them.
It all ends in seconds.
The travellers' eyes wide open, the droplets of sweat
run along the forehead and make the regular blinking resume.
Even the little train gains speed, the last passenger
hooks up with the rear carriage with a jump…it stays like this, the body a
flag.
“The head cutters have other things to do, it's a full
moon,” the engineer tells us, opening a crack to let in some air.
The savannah thins out, the eye now sweeps over
expanses of mangroves, gigantic Baobabs and rice paddies drawn in the confines
of mud.
The sun approaches the horizon line resting on the
clouds that surround the hills of Lake Hasani, reflected in the mirror of water
together with the large wings of the pink stork.
The heart beats slowly to mark a quality of time that we would like to grasp, like the alligator the zebra, we life…
Ciò che l'Isola dice, capriccio sul mal di Sardegna di Cristina Annino e Ugo Magnanti
Quei rami le nascondono un respiro
in più di demonietti, penso così, per tutti
gli alberi dell’isola, quelli che il continuo
mutamento, frementi li suppone,
e alti, agli occhi suoi che sono d’appetito:
squadriamola dai piè fin su alla testa.
Invece lui si è fatto i tendini, si è
fatto i muscoli, si fa ciclista,
a volte, ed è essenziale come nulla,
è più occasioni, o mito (ci scherza),
o albero, o fessura, o non è cosa,
bensì solo un terrestre, un pezzo d’isola.
Ciclista essenziale
Intanto che l’afa d’estate mi
incorona, nella stasi di ovunque,
preso per la spoglia, ^non è che piano
piano con la polvere addosso mi ci
debba dire un’orazione? Accostato
a lei sarebbe meglio, sentirei
il doppio, e di tutto, allora mi avvicino,
perché se la landa non è cieca
e non si espande, chi mai la vuole?
Una bruxa
su da questi sassi. Dicendo
“che libidine”; io fracasso
le mie vie coi picchi. Volo, al centesimo
d’ora, vivo senza preghiere abbeverando
pozzi sacri, sempre sopra la stuoia
d’ossessive fragranze dei rami di
piante spalancate sull’acqua viola.
Cristina Annino (1941-2022) una delle più note poetesse italiane. Fra le pubblicazioni più note Magnificat. Poesie 1969-2009 (PuntoaCapo, 2010), Anatomie in fuga (Donzelli, 2016), Le perle di Loch Ness (Arcipelago Itaca, 2019). Presente in antologie, fra le quali Il pensiero dominante, poesia italiana 1970-2000, (Garzanti, 2001), e Antologia di poeti contemporanei - Tradizioni e innovazione in Italia, (Mursia, 2016
Ugo Magnanti ha pubblicato diverse
opere di poesia, tra le quali, più recentemente, l’auto antologia Il nome che
ti manca (peQuod, 2019), il poemetto in ‘stanze’ L’edificio fermo, (FusibiliaLibri,
2015), e la plaquette Ciclocentauri, con tavole di Gian Ruggero Manzoni
(FusibiliaLibri, 2017). Fra le tante presenze a manifestazioni di poesia, nel
2012 ha partecipato al 49° “Festival internazionale degli scrittori di Belgrado.
Fausto Ciotti compositore e polistrumentista, ha realizzato
numerosi album discografici come autore, arrangiatore ed esecutore, tra gli
altri: Fàghth Note, Passages, Goes thè Mind, Spagna e Italia nel XIX Secolo,
abbracciando generi dalla musica classica al jazz alla world music. Da quasi quaranta
anni svolge la sua attività concertistica in Italia e all’estero. Ha partecipato
alla realizzazione di diversi programmi radiofonici e televisivi della RAI e di
altre emittenti radiotelevisive nazionali.
Terra è casa, poesie contro la guerra
Nicola Giannattasio, Scritti randagi
Di questi testi fratelli, compagni, necessari ne propongo alcuni:
Questo navigare nell’etere è buio
fragoroso silenzio che perfora i timpani
in una tastiera l’apparente connessione
di milioni di essere umani
Lo schermo
il Sole di giorno
luce lunare di notte
i passi
sedentari sotto vacue scrivanie
nell’agorà di imperterriti disillusi.
Reagiamo ? Non credo !
Chi ha
osato chiudere i nostri sogni
dentro ragnatele di file?
C’è un
vuoto nei cuori
nei nostri derubati cuori
straziante solitudine
Buttai la
vita
dentro un pozzo
di nome tristezza
la buttai lì tanto tempo fa
La morte non mi voleva
se ne stava buona
sull’uscio di casa
io la vedevo, la presenziavo
devi vivere diceva
e io inorridito ascoltavo
Non sapevo chi delle due
fosse più cinica
la vita o la morte!
In quel
pozzo
di nome tristezza
passai il resto dei miei giorni
Fu indolore il trapasso
era già abbastanza
logora la mia anima
solo dimenticai
un ultimo bicchiere di vino
Oggi ho
visto un Topo
era bello grande
ma non più di tanto
istintivamente il mio primo pensiero
è stato quello di rincorrerlo
e dargli un calcio fino a tramortirlo
poi però ho pensato di spaventarlo soltanto
Ormai ero vicinissimo a lui
ma stranamente non si muoveva
ho posato leggermente il piede sulla sua coda
quello si è girato di scatto a mo’ di sfida
ma non fuggiva
era una situazione davvero strana
e la faccia del topo cominciava a farmi tenerezza
rimembravo Topolino e Topogigio
Poi una signora che passava lì vicino
mi ha spiegato che aveva messo del veleno per topi
e che il topo stava morendo
In
quell’ultimo anelito di vita
si era scontrato con me
e ho avuto stima della sua fierezza
E le mie
Musiche?
Dove sono
le mie poesie ?
Segni
primitivi incisi
su dei supporti di nebbia
di uno sprezzante futuro
impossibilitato a guardarsi indietro
Vertebre asfissianti
di orizzonte finito
corrugamenti evidenti
in terre di fuoco
Terra tremula
che mi desti i natali
terra florida
solo per pochi
Terra avara
per i figli del dolore
terra che consuma
terra che ti scaccia
Terra millenaria
di mediterranea riva
terra di invasori
tutti hanno vissuto qui
Tutti arrivano qui
e tutti vanno via da qui
il sole spinge i suoi sprazzi
e non lenisce le piaghe.
Chi volesse acquistare una copia di Scritti Randagi di
Nicola Giannattasio, ha attualmente due modalità a disposizione per versare il
contributo richiesto di 5,00 € che include la spedizione ordinaria del plico:
1. Versamento PayPal (preferibilmente "Amici e
conoscenti" vista la piccola entità della somma) a : alex.pepe@atauta.it
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cui gradite ricevere la spedizione del volume.
Lucianna Argentino: In canto a te
durante una manifestazione a Roccagorga |
Già dal titolo appare ben chiaro che l’Autrice trova quel che nell’adolescenza aveva - come tanti - cercato.
Un cantico
di ciò cui i poeti spesso scrivono, in questi tempi forse con molto timore e
timidezza. Riesce con questo libro a donare a un lui, a un noi e,
certamente a se stessa, qualcosa smarrita nella forse stupida corsa di una
qualche realizzazione. Questa parola ormai divenuta quasi oscena è la continua
ricerca del senso pieno del vivere che noi - e neanche Lei fa, né intendo farlo
io - citiamo.
La certezza è che qualche volta, poche per la
verità oggi, questo nuovo libro di Lucianna Argentino (fra le più note poetesse
italiane), In canto a te, ci svela quel
che in realtà cerchiamo, in una età che ci trova troppo spesso impreparati.
Lascio al lettore la splendida nota critica di Gabriella Musetti che introduce
il libro.
alcune delle poesie contenute nel libro
Io sono l’agnello
e lui la lama cui offro il collo
il coltello per il sacrificio
a un dio che dimora nel mio ventre.
***
Perdonami
per non aver compreso allora
quanto profondo fosse l’amore
questo che ha attraversato
primavere renitenti e inverni caparbi
e approda ora alla nostra estate piena
con lo stesso volto
gli occhi arrossati dal rimpianto
le mani giunte in preghiera
per la grazia del qui e ora
noi liberi dal per sempre
ché eterno sarà l’essere stati.
***
Nell’assenza compresi quanta vita ci vuole
per capire il come e il cosa dell’amore,
ma quanti i battiti perduti, quanto il calore disperso.
L’imparai sottraendomi alla verità.
Riemerse poi. Lui lontano –
un nome reticente sulla punta della lingua.
Io nello spavento, nella teoria
fui giuda di me stessa allora
che non sapevo come può stare
nel nome di un’ombra
tutta la luce che lui ora riporta alla mia riva.
***
C’è voluto tutto il tempo e una gelosa cura
perché il giorno in lui trovasse la sua voce
e una grazia acerba lo battezzasse col suo vero nome
vero sì, ma distante ancora.
Ancora nell’avvenire, ancora dove lo vorrei
pelle del mio abisso e di sconfinati dubbi pregarlo:
toccami, ricreami l’anima con le tue mani,
il corpo con il tuo sguardo; rendimi il tuo genitivo
di pertinenza, cambiami la desinenza.
***
dalla seconda parte
[…I due vagavano attoniti nel vuoto d’anni di cui erano gli
[estremi,
priva di guida la memoria andava a caso
e lei smarrita girava attorno a quella clausola
che poi, di tanto in tanto, le concedeva tregua.]…
***
[…Lui rifiatava, tornava a galla da una lunga apnea,
lo vedeva lei l’abbandono ricco in cui lui si riconquistava
e non le importava il prima. Chiuso il catalogo delle loro
[assenze,
riscritta la scacchiera. Mi hai salvato, le confessò
conquistato da quella bellezza, lei tacque in dubbio
su cosa davvero fosse salvezza.]…
Samuele Editore - 2019 ISBN 978-88-94944-13-6, p. 96, € 12.00 |