Marco Melillo: Nuova canzone felice

Dopo aver letto la lunga e colta introduzione al libro di Marco Melillo, cosa che non faccio mai, andando direttamente alle parole dell’Autore che mi accingo a leggere. Ho dovuto sospendere, dimenticare e, trascorso circa un mese, leggere infine le poesie di Nuova canzone felice.
        Non sono certo contro le introduzioni ma preferirei che siano una guida alla scoperta delle novità (se ci sono) nell’autore che si introduce. Lungi da me l’essere un critico e, soprattutto, l’esserlo oggi. E poi critico sul critico! Mi sembra abbastanza naturale che chi scrive di poesia, di poesia legga (anche se a volte non è così) e, quindi troppi ‘accostamenti’ mi sembrano allontanino il lettore più che avvicinarlo alla lettura. Ma è un mio pensiero o, meglio, un ricordo del passato. C’è persino chi parla di regole, (pensate se Mozart le avesse seguite!). Avere un linguaggio, uno stile proprio è il compito del Poeta, mentre - naturalmente – i temi sono spesso simili. Un rifiuto nei confronti della società nella quale si vive, il dolore che ci circonda, le ingiustizie, ecc.

Quale che sia il metro lirico ispirativo e il linguaggio esplicante o le espansioni tematiche, la poesia di Marco Melillo è vivida, esprimendo una realtà drammatica, inappagata nella parola e nel gesto.
       Riassume un mondo estremo e contraddittorio nel suo forzato equilibrio sociale. Poesia straziata che non rinnega la vita, ma la schernisce per sentirsene graffiare oltre l'apparenza.

Però la parola va al Poeta, alcune poesie tratte dal libro che, vivamente, consiglio di leggere e rileggere.


Per navigare l’incerta lettura del mondo
la mappa è l’agire politico, l’acquisizione
di segni stranieri
dove vive il tu per intero
senza sillabare le forme che veste
la logica, finché il potere è una patria mortale.

Entro in cielo
divoro il libro
fisso sull’asfalto
una canzone.

L’orrore

La notte sbaglia al di sopra di loro.

Facile dare la colpa a chi scappa
chi spinge qualcosa di vivo
nel mare inautentico dell’abbondanza.

Facile pure il parlare
purché la vergogna abbia tratto lezione
dalla stessa legge

l’errore

oltraggiando un confine deciso dalle istituzioni
una muta di scogli spacciando parole.

Mediterraneo (I)

Férmati.
Ho cantato per giorni sull’oblio senza venirne a capo,
gli occhi bassi se passava il silenzio
e passa
come gioventù annegata e uccello d’alba
che coltiva la sua calma sulla riva.
Non sa che guardare il basso sangue di scirocco
all’orizzonte della sera precedente
e confessarsi di domenica cercando
nelle casse oramai vuote di sognanti pescatori
che ora dormono e nel sogno
si ritrovano a sognare i loro morti,
e i vecchi compagni che dei venti
non ricordano più i nomi;

loro fanno come a suggerirli però non gli riesce suono
e quando suonano, parlano dialetti innaturali
incomprensibili al passato
e quando riescono a schiarire un po’ la voce
ecco che è buio e sopra il mare tuona.

Poi il Mediterraneo si disegna dentro il sogno
come un cimitero, croci che galleggiano
e parabole ondeggianti che sorvolano
la noia dell’attesa, la paura di partire

e i loro corpi che si muovono come s’affretta il sogno
dimenandosi al tripudio delle mosche
che compaiono sulle carni precise della rabbia
che si sogna
fissa all’al di qua del molo.

Sogna un pescatore di svegliarsi e chiama gli altri
che svegliandosi dimenticano il sogno: 
sono sveglio anch’io.

Mentre attraversando il litorale spicco il volo
mi dimentico dei sogni e dei compagni,
perfino nemico e indifferente appare il sole rosso
che dimentica ogni notte l’orizzonte.


Città sotto il mare – dove non si crede allo straniero*
 
Il navigante straniero è venuto a contare le pietre del mare. 
Gli occhi ventaglio dell’acqua lo vedono estinguere 
i codici i numeri, i più diversi alfabeti mentre una medusa gli mormora
o non dice nulla dei suoi pescecani
la murena sonda lo spazio
tra quel corpo morbido e i resti di gusci di ricci di mare
che suonano l’un contro l’altro
mentre la corrente li tira più a fondo.

Non c’è la maschera del palombaro a guardare
e nemmeno le lenti di un sottomarino
però si intuisce dal cielo lontano dell’orlo dell’acqua
che quell’animale ha fallito la rotta
incagliato tra i piani e le alture
di questa città sotto il mare.

E la montagna divide due terre
il confine malfermo si agita con le sue sabbie
i delfini ci nuotano intorno
e non hanno mai smesso di amare.
Il loro gioco sorprende le piccole navi
quei pochi bagnanti che fuori le prime tre miglia di vita
si sporgono ad uno spettacolo per loro muto. 

È un altro mondo per il navigante straniero.

Con la sua morte ha spezzato il confine che limita l’onda dal vento
le sponde dalla libertà di viaggiare.
Essere piante o argomenti di uomini ciechi o coralli
non fa differenza qui in mare.

Solo un po’ di vino

di rugiada, chiama
non c’è mai
il televisore
chiuso ad ore anche
il telefono
che piove
e tu sei nuda,
nuda in me
con dentro questa
stanza.
Non esiste più
nemmeno la speranza.


Un mucchio d’esseri liberi
svolta per strade deserte.
Gli assembramenti fin sotto
i portoni, le danze
le feste private evadendo i divieti
i controlli le tasse.
Fanno gli oracoli alla civiltà
delle macchine
corrono tutti negli stessi posti
se c’è da mangiare.
Certo anche i topi avranno
buona parte di colpe
per questi disastri,
ma come detto son liberi
non gli interessa volare.

Desiderio e strade silenziose stanno insieme,
fanno a gara sotto vento i mucchi delle cose.
Ma se vuoi restare all’erta dei pensieri
fare specchio dei neuroni a fior di pelle
pensa a luci trafficate senza pose nel passato,
le finestre chiuse al gusto delle rose.

Vita

Voglia di due chiacchiere con te
che cedi al mare con la sua fortuna.
Se l’ultima volta è stata prima
nella barba sotto i muti occhiali
vorrai dire «Guarda, gli anni
sono pochi per dividere poesia
alla sua missione silenziosa».

Io spero che te lo diano
un buon libro da leggere
qualcuno tra le folate autunnali
che affolla la tua meraviglia
nemmeno se vuoi gli scaffali
se cerchi chi non cerca niente
se per te il presente è un futuro
da dimenticare
ma niente ti arriva, lo so
quasi niente
è un sussulto di cane rabbioso
quest’anima appesa agli insulti
gridati dal telegiornale.

23 maggio 1992

Non ci crederete, ma io
veramente sbaglio strada
se c’è dentro un compleanno.
Quelli fatti sotto terra, poi
non ne parliamo.
Spesso il festeggiato
non lo sa, non dice dove
quando né perché o
nemmeno sei invitato
oppure, non si fa trovare.
Figurarsi presentarti in uniforme
non sapere che la rabbia
è il solo abito conforme.
Ci verrò comunque
con le scarpe bruciacchiate
i vetri rotti, le lamiere perforate
forse uomo forse donna
dio bambino
certo a pezzi per non spingere
sbagliare le ore certe
vanto postumo delle orologerie
sbagliando forse
pure il giorno.

Mi dimentico di essere poeta

dietro l’albero avvitato
appeso al mondo.
Come gli occhi contestati dalla sera
fisso un volto che non c’era
che dipinge le ombre lunghe
sui tentacoli della maledizione.
Ma altro mondo cova dove
un mondo vivo, sono amanti
sono amplessi di giganti
che si frugano nella contraddizione
le ombre dure nella terra
il quieto orgasmo che resuscita
la fede complicata dalla guerra.

Marco Saya editore, pag. 138, € 12.00

        Marco Melillo (Napoli ’79, dove vive e lavora), tra i soci del primo caffè letterario della cittadina vesuviana. fonda insieme ad altri una webzine culturale chiamata c’è vita su Marte, proponendo una rubrica di poesia contemporanea fino al 2016. Presente con alcuni testi in antologie di contemporanei. Alcuni racconti sono stati adattati a brevi pièce teatrali, altri pubblicati a puntate su alcune testate locali (cartacee). 2017: premio “Anna Maria Ortese” promosso dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (poesia inedita); nello stesso anno pubblicato sulla rivista “Poeti e Poesia” (n°42). 2018 e 2019: tra i finalisti di “poesia a Napoli – II e III edizione” (Guida); 2019: riconoscimento al Premio “Città di Conza” (poesia inedita). Ha frequentato il teatro amatoriale e, per alcuni anni, ha curato una trasmissione radio su musica, cinema, letteratura. Per passione traduce poeti contemporanei americani.

"La Fabbrica di Batteri" di Dana Drunk - presentazione c/o Diffusione Cultura

Prossima e prima presentazione de "La Fabbrica di Batteri" + doppio reading di Dana Drunk feat. Fabio Barcellandi + elettrosounds a cura di Devis Rota + ricco buffet: venerdì 12 novembre 2010 c/o Diffusione Cultura via Sardegna 3 - angolo viale Matteotti Sesto San Giovanni (MI) ‎... e chi non si fa contagiare o è un ladro o è una spia! 


"La Fabbrica di Batteri" di Dana Drunk ed. Opposto.net


è
 uscita, per i tipi di Opposto.net la nuova raccolta di poesie di Dana Drunk:una vera e propria rivoluzione poetica: "Rivoluzione" "Rivoluzione per noi per i vecchi per la prole rivoluzione per l’aria per la vita per l’amore rivoluzione dentro la casa dentro la chiesa dentro le scuole rivoluzione con una sberla con una perla con un cannone rivoluzione fin dalla culla sino alla tomba sempre nel cuore rivoluzione chi l’ha detto che non si fa con le parole?" * Postfazione di Beppe Costa 

Ricordavo Moravia quando, ai funerali di Pasolini, urlava: ”di Poeti non ce n’è tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro in un secolo”. E un’altra amica stimata: “I Poeti non sono tutti morti, ce ne sono a centinaia e, anche più bravi che nel passato”. Certo vi era la rabbia dello scrittore alla morte dell’ultimo grande poeta, polemista (sembra una parola oscena), regista e quant’altro sia attribuibile a Pasolini. Ma mi appariva vero, come a molti d’altronde. Perché nel nostro Paese la poesia (ma non solo) sembra sparita, totalmente scomparsa e molti sono gli autori anche celebri, persino premi Nobel, che non si pubblicano più. Eppure o pure ce n’è davvero tanta di poesia e la rete oggi sembra divenire il mezzo più idoneo per la sua diffusione. Non solo della poesia, ma di tutto ciò che nei canali televisivi e nei grandi giornali non passa: salvo poi uno o due giorni quando il Poeta, pressoché insalutato ospite di questa terra, se ne va. Questo c’entra con Dana Drunk e con “La fabbrica di batteri”? O con la casa editrice che con coraggio estremo la pubblica? Perché coraggio poi se dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo pubblicare poesia? E invece no! Non lo è. La poesia resta inchiodata quasi sempre a casa del poeta, fra i suoi 4 amici e il bar, oggi diventato luogo ideale (e quasi unico) per esprimerla. Allora lego l’Autrice alla sua “Rivoluzione” all’occhio e al cuore attenti a sorvegliare la ‘parola’. 
Comunicare la violenza dei “giorni inutili” quando: sono quel che resta 
Della vita mesta 
Di una persona onesta E ancora: che il tempo passa e quello che mi resta non mi basta. Vivere come ‘il branco’ d’una umanità che ha perso il senso della propria fortuna di essere, preferendo invece l’avere: paesaggi, amori, destini è “vedere l’alba” (che a nessuno interessa, neppure a lei, scrive Dana, eppure lo scrive perché la vede, la sente, la vive), sembra proprio un destino fuori del tempo, del mondo. Auto, sesso, denaro, palloni, carriere restano fra gli scopi ‘ideali’ dell’esistenza!? Quanto sia alta la consapevolezza del ‘dare’, del darsi, del farsi amore in queste tre righe di “Portafortuna”: arriverò io dove tu 
con le tue forze
 non sai arrivare. Saranno in pochi credo oggi che possano ricevere così tanto e, in uno scritto così breve dove tutto è detto, come tutto è dato. Tanta umanità vista, denunciata, urlata in ognuna di tutte le poesie che compongono questa breve scelta dell’Autrice che, nei suoi reading le traduce in canzoni e\o manifesti di protesta, non quella torva da cartelli di poche ore, bensì, maturata e vissuta nel suo vivere quotidiano osservando gli altri. La precarietà del lavoro, del denaro, della salute, dell’oggetto d’amore non è mai proprio, o solo proprio, ma appartiene a tutti coloro che forse hanno smesso di porsi domande ed eseguono mestamente e quotidianamente tutti gli obblighi e\o doveri di cui non hanno (o non avrebbero) affatto bisogno. Questo l’urlo di Dana, come una lunga storia poetica, un percorso già iniziato e che prosegue con una energia sofferta e vissuta che non dà respiro, a lei per prima. Ed è un caso abbastanza raro che a scrivere di fabbriche, operai, soldi, rivoluzione, protesta, alcool, libertà sia una donna: E concludo con alcuni versi da “inseguita speciale”: Aiuto,
 mi chiamano Dana
 DRUNK!
 Dovrei preoccuparmi,
 Dana Drunk? 
Le domande m'inseguono 
le risposte mi sfuggono 
per quanto tempo ancora
 dannarsi? Scrivere sarà l’unica medicina utile per evitare la dannazione? Capita a pochi, pochissimi e queste sono sempre state “condannate speciali”. 

 * La Fabbrica di batteri - Dana Drunk ISBN: 9788890513428 Collana: I Nei Anno: 2010 A cura di Fabio Barcellandi Prefazione del curatore Postfazione: Beppe Costa Prezzo: 9.00 € Edizioni: Opposto.net.  Per acquisti e/o informazioni sui libri di Opposto.net: potete recarvi presso la libreria Pellicanolibri Via Gattico, 3 00166 Roma o potete scrivere a pellicanolibri@libero.it e redazioneopposto@hotmail.it