La nascita di un "poeta" da rete!

        


         ah maledetta poesia! questa parola tanto abusata, consumata, distrutta nella costante ricerca del dire qualcosa di nuovo (o, magari, qualcosa di vero)

Quanta gioia, emozione, allegria da birrerie prima durante e dopo le letture (o reading) ammucchiati, complici, amici degli amici scattano foto con sorrisi celestiali come fossero finiti i proiettili!

Quest’uso barbaro permette a molti (che non amano neanche un cane) di avere scodinzolanti attorno.

Dai professori (da scuole materne o università) nasce la voglia di trasmettere quello che non sanno e, quasi sempre, riescono a ottenere una certa celebrità. Il professor GianBau è ottimo esempio!

Bada bene, non di vendita del loro prodotto “poetico” ma di estimatori, critici e/o avversari. Anche se in questo caso, se ne trovano ben pochi (non si sa qualche premio, targa, invito (appunto) a letture davvero emozionanti!

Anche al più ingenuo e puro accade che non appena inizia a ricevere complimenti di pensare che forse quello del poeta è il suo destino e va alla ricerca di edipografo e di un prefatore che subito trova prima che lui ci ripensi: la fama! come tanti nel passato per finire nei libri di letteratura! Chi non ci cadrebbe davanti a nomi altisonanti che curano una collana? una editrice, un blog?

Così, prima che tu dica “pronto” ti ritrovi a guadagnare ben il 70% della tua opera! e non  rifiuti (anche se fai il meccanico) a entrare nel mondo degli autori. Ti puoi definire e far chiamare "poeta" o, addirittura scrittore! Spesso l’inganno lo trovi o magari lo avverti appena (sai bene quanto ti sia costato) ma, il tuo cammino è appena iniziato: inesperienza... non hai letto bene il contratto. 

Ben lungi però da confessarlo, chiedi, ordini, supplichi che qualcuno dei cinquemila fans lo acquisti!

Non funziona? ti arrendi? macché! inizia la ricerca spasmodica di presentarlo: ti rodi dentro ma non puoi darlo a vedere. Non demordi! Riesci così che qualche libreria di amici o amici degli amici ti ospiti: 20 assistono, uno compra, la zia! Ti arrendi? macché: è solo l’inizio della tua carriera, maledetto poeta!

Qualche anno fa quei pochi Poeti che avevano ancora voce (ma non solo) si mobilitavano con manifestazioni per la Pace. Oggi credo debbano mettersi l’animo in pace, non frega a nessuno di loro…

Eppure i tanti dei copia-incolla sanno, o dovrebbero sapere, quali differenze ci siano oggi, complice la rete, con i poeti dei secoli scorsi, spesso silenziosi, isolati ma, almeno da morti, ricordati.

Di un novecento che non sembrerebbe proprio svanito nel nulla, eppure... 

sotto, in qualche angolo oscuro, la poesia imperterrita continua la propria vita e vitalità, scoprirla non sempre è facile, esporla, quasi impossibile!

La libertà del jazz nel talento del giovane Antonio Ottaviano

 

Un ragazzo, il suo sassofono e un sogno luminoso come il sole. Il talento puro corre veloce, indisturbato e quando si manifesta sin dalla tenera età, assecondarlo è la migliore intuizione degna di non passare indisturbata poiché è quella che conduce verso la realizzazione dei propri sogni. Antonio Ottaviano ha mostrato la sua passione per la musica sin da piccolo: all’età di sei anni uno zio direttore e compositore per banda gli fornisce le prime lezioni di flauto e qualche anno più tardi, decenne, inizia a studiare sassofono alla Jam Session School, scuola di musica nata a Venafro da un’idea del musicista  Peppe Maisto.

Il sassofonista Francesco Gallo è stato il suo primo vero maestro oltre che complice di rilievo avendogli fornito la possibilità di conoscere e apprezzare il virtuosismo e la capacità di scandagliare emozioni, caratteristiche peculiari dello stile jazz,  una musica destinata poi a diventare parte essenziale della sua vita quando, come racconta l’artista “io ed un mio carissimo amico, entrambi tredicenni, dopo una lunga serata in gruppo, decidiamo di stenderci sul muretto di casa sua e di ascoltare “Kind of Blue” di Miles Davis. In particolare ricordo il brano “Flamenco Sketches”, che mi colpì in modo straordinario.”

Con il sassofonista Rosario Giuliani ha da poco concluso un percorso di studi presso il Saint Louis College Of Music di Roma, la prima ed unica Istituzione di Alta Formazione Artistica Musicale in Italia autorizzata dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca al rilascio di diplomi accademici di primo e secondo livello, equivalenti a laurea magistrale specialistica. Sempre presso questa scuola l’anno venturo inizierà il biennio di arrangiamento, che gli consentirà di affinare il linguaggio musicale e le competenze nel campo della composizione.

Nel 2022 ha vinto la XXVI edizione del prestigioso “Premio Internazionale Massimo Urbani” di Camerino, grazie al quale ha avuto la possibilità di registrare e pubblicare l’album intitolato “Bright as the sun” per l’etichetta “Emme Record Label”. Il lavoro dell’artista è descritto dai suoi editori come “un concept album che vuole raccontare la semplicità e le emozioni di alcuni momenti ed esperienze, vissuti dall’autore. In questo modo si può riassumere l’essenza di “Bright as the Sun”, disco d’esordio del sassofonista Antonio Ottaviano. Un progetto al quale hanno preso parte diversi musicisti tra cui Federico Bosio alla chitarra elettrica e acustica, Vittorio Solimene al piano, Vincenzo Quirico al contrabbasso, Sergio Mazzini alla batteria e lo special guest Rosario Giuliani presente nella traccia Suite et poursuite III di sua composizione. Tutti i brani sono stati scritti di getto e sono tutti caratterizzati da un suono moderno e brillante, in cui a spiccano interplay, frasi, idee e tanta energia. Non a caso la title track dell’album, “Bright as the Sun”, è una metafora dell’amicizia, qualcosa di puro e luminoso come il Sole.”

Il jazz è uno scrigno storico che unisce musica colta e musica popolare, è improvvisazione e  stile accademico, è il ritmo e la sua continua evoluzione. È il compendio perfetto che favorisce il processo di avvicinamento tra diverse civiltà e l’allontanamento delle sciocche pretese di superiorità di un sistema culturale sull’altro, poiché il jazz è musica di libertà che si rinnova continuamente tesa com’è  ad esplorare territori sconosciuti, forte della sua capacità inclusiva che le permette di far partecipare nella propria scrittura anche elementi ad essa estranei. È l’invito a creare ponti che deriva dal jazz e dall’album “Bright as the sun”, un piccolo capolavoro di saggezza musicale che, data l’età estremamente giovane del suo compositore, sublima la visione di Elsa Morante secondo la quale il mondo sì, può essere salvato dai ragazzini.

 Federica Passarelli 



 

Zaccaria Gallo Serbo d'amore -poesia


Zaccaria Gallo

Gli odori, i profumi di una terra e di una lingua lontana, eppure se torno indietro nelle memorie dei primi miei fascini e stupori di letture vi ritrovo la mia, ancora nei paesaggi stracolmi di macerie.

Questo ritornare indietro mi riporta a Pacheco,  Prévert, Lorca e i nostri comuni tempi di guerra, cui frastuoni e sentimenti non si sono mai fermati, spezzandoci le righe, le infanzie, non regalandoci la spensieratezza della adolescenza.

Così, nell’iniziare la lettura della racconta Serbo D’amore conosco e mi affratello a un complice di versi: Zaccaria Gallo (che spero d’incontrare e stringere inquesto percorso d’incontro così insolito, voluto da strana casualità.

[…Racconterò davanti alla tua foto, / che il tempo stinge, sì, ti racconto / accorato richiamo dal cordone mai reciso: / come s’assomigli a questa terra / il pallido volto soave nel mio vestito della domenica lasciato nell’armadio].

Questa è la madre, la sua e quella di molti di tempi misteriosi e incerti.

le sue dita trassero la rivoltella,
il suo freddo peso fra le mani
campi di mais e musiche
piccole colline e grano
e vecchi aratri
qualche muro cadente
geometrie d’un ricordo

il tempo arretra nella meraviglia
tu corri e il mio sangue corre con te

un cavallo beveva l’aria del mattino

erbe vibravano al vento

ombre e cielo toccano la terra
codici d’una presenza

qui taceva il cupo frastuono del traffico

conosco la città dei miei nonni

Richiamo continuo alla natura, come d’una quiete ricercata fra tanti rumori, alle famiglie da pensieri ordinati che la pallida luce distrae dal buio:

le sue dita trassero la rivoltella,
il suo freddo peso fra le mani
campi di mais e musiche
piccole colline e grano
e vecchi aratri
qualche muro cadente
geometrie d’un ricordo

il tempo arretra nella meraviglia
tu corri e il mio sangue corre con te

un cavallo beveva l’aria del mattino
erbe vibravano al vento

ombre e cielo toccano la terra
codici d’una presenza

qui taceva il cupo frastuono del traffico
conosco la città dei miei nonni

Si chiude il verso e in me si riapre quell’universo accennato con le prime letture offerte dal nonno e il pensiero non può che andare all’amico di famiglia e nostro autore. Pascoli.

Che dolce, gradita sorpresa negli anni che non sorprendono più, dove tutto lo immagini prima ancora di vederlo e non hai neanche voglia di inforcare gli occhiali per leggere meglio.

Il tempo sospeso

Seguito a tornare
pellegrino che cerca favole e meteore
da leggere la sera e i giorni dati
mentre cresce dentro di me
ciò che deve con domande terrene

Da quando son nato
mi muovo in luoghi
silenziosi e vuoti
e lontane sono
tutte le case che sogno
Lontana la voce di mia madre
che mi chiama
la terra di cui sono fatto

È murata nella mia casa

Molte cose sono cambiate nel mondo
molto è cambiato in noi
Un giorno rivedrai le sette cose
nel riflesso del cielo
tu che hai preso il mio sangue
e l’hai chiuso nel tempo
Nascere una seconda volta
ascoltare la voce del cuore
tornato bambino fermare
il tempo in una mano…ora
che ci resta un incontro d’aria,
che impiglia, che ci respira
nei richiami del lungo cammino
con l’ala fragile d’una nuvola.

Non mi resta che invitarvi a leggere il Poeta, scoprirne il percorso della memoria per ritrovarsi tutt’interi in parole d'altri. (b.c.)

Kraguievac

tu berrai fino alla fine la bevanda mortale
che fermenta nello scroscio delle pietre roventi
per l’eterno moto d’afflizione

qui si canta un canto di contraddizione
che mescola il cupo brusio della morte
al colore squillante del quotidiano

oh, i siluri che nascono dai sepolcri
e vagano sugli altari delle biblioteche
e soffiano sul viso delle confessioni

contrasto d’ali gelide del distruttibile
con l’indistruttibile del potere
l’immenso morso d’uomo che sé stesso rovina

dove s’attaccheranno le mani
della memoria? agli incubi degli svenimenti?
alle lagnanze delle lunghe notti?

nugoli d’insetti vortici di ricordi
ti succhiano dalle torri di Kraguievac
e il cuore ingabbiano nella di speranza

qui dove dormono nella quiete
mossa appena dallo stormire di betulle
di salici e faggi i fiori serbi

qui dove da note oscure crescono
i fermenti del loro sangue
la solitudine di mute risonanze

non soffiare dal tuo viso la lacrima
falla danzare sui pendii delle gote
irrora d’amore ogni stelo spezzato

edizioni Secop 2014, pag 96 € 10.000
bilingue ISBN 978-8898314287

Scrivere con la luce... di Federica Passarelli

Perché si decide di trascorrere del tempo ad osservare una mostra fotografica?  Perché scegliere di perdersi tra la luce e il significato che esprime ogni singolo soggetto individuato dal fotografo per rappresentare l’emozione che in quel momento trova il sopravvento? Ogni osservatore ha di certo la propria motivazione personale che lo induce a ricercare la bellezza nelle immagini che lo circondano. Spesso nell’allestire una mostra fotografica si sceglie un tema particolare che possa indicare la traccia da seguire e giungere ad una conclusione che narri lo spirito dell’artista.

Per la sua mostra fotografica Giustino Guarini ha scelto di seguire la strada delle sue preferenze personali ed ha proposto una serie di lavori che conducono l’osservatore in una sorta di viaggio nel suo mondo più intimo, più introspettivo e che lo pone in una relazione di familiarità con l’artista .

La prospettiva diversa da quella solita con la quale si mira l’obiettivo verso i campanili e le cupole delle chiese di Venafro e che ne determinano il profilo quando la si osserva da lontano, dimostra come lo sguardo attento del fotografo voglia proporre un modo nuovo e insolito di osservare ciò che ci circonda. Un suggerimento che invita a considerare anche le vicissitudini della vita da un’angolazione inconsueta per non cadere nel compendio della banalità del vivere quotidiano.

Il rapimento repentino della luce rossa del tramonto quando cala il suo sipario sulla vita frenetica che attraversa i Navigli di Milano. Un fermo immagine spettacolare suggerito dall’occhio sapiente intento a catturare l’attimo che fugge tra le nuvole all’orizzonte e i sogni della notte che si avvicenda al giorno trascorso. È il consiglio del poeta che dovremmo imparare a rispettare per dar conto a quell’idea di felicità che fatica spesso a combaciare con quei vecchi rimpianti che non si sanno più scacciare.

La leggerezza nello sguardo della ragazza rumena dagli occhi chiari, un mondo in cui rintracciare il potere salvifico della letteratura e scorgere con quale cura si esprime quel pensiero unico di Calvino secondo il quale la leggerezza non è superficialità ma è planare le cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. È il segreto dell’amore.

Giustino Guarini riesce persino a imprimere un suono all’immagine ritratta, attraverso i volti segnati dalla musica che rapisce l’anima. Sospesi nell’esecuzione di un brano, di un tema, di un canto, tutti gli artisti catturati sanno gestire l’improvvisazione, maestra del saper discernere il momento esatto in cui privilegiare una nota a discapito di un’altra. È il mestiere di vivere.

Spesso si incontrano, poeta e fotografo, ed entrambi offrono il modo di imprimere un’emozione  e renderla eterna affinché chiunque voglia beneficiarne trovi lo strumento che gli consenta di trafugare la bellezza e l’incanto narrate nell’arte.

                                                                                                               Federica Passarelli 






L'incontro di due maschere. Pessoa e Pirandello di Federica Passarelli

Cos’hanno in comune il poeta portoghese e lo scrittore siciliano? Entrambi hanno vissuto a cavallo tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Non siamo sicuri che siano stati lettori o ammiratori reciproci delle rispettive opere. Fatto sta che presentano nella loro ideologia diversi tratti somiglianti.  Il pensiero di Fernando Pessoa s’esprime tutto, o quasi, in una riflessione contenuta nelle pagine di un diario appartenuto a certo Bernardo Soares. No. Non ho le idee confuse. Bernardo Soares è l’autore di un libro-diario intitolato “Il libro dell’inquietudine” in cui Pessoa elabora una indagine introspettiva sull’anima. Pessoa-Soares, Fernando-Bernardo: tracce riconducenti ad un’unica persona. Un’unica persona? Vedremo che in realtà le cose stanno diversamente! Leggere Pessoa è come guardare attraverso la lente di un caleidoscopio: ha personalità ricche di sfaccettature colorate e mobili! Ma procediamo per gradi. Si diceva di una riflessione contenuta nel diario di Soares. Si tratta di una riflessione importantissima perché agisce come una lente d’ingrandimento sull’anima del poeta e la definisce in tutta la sua genialità, ma per non perdersi ulteriormente nei meandri sconfinati delle metafore e delle similitudini, procedo col proporre tale riflessione:

Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un’altra persona che inizia a sognarlo, e non sono io. Per creare mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi. (Il libro dell’inquietudine).

Signore e signori ecco a voi Sua Diversità l’Eteronimia! “Letteralmente ‘altri nomi’, individui diversi, legati comunque in un identico stato di famiglia a un unico padre, dalla cui mente sono scaturiti. Gli eteronimi sono proiezioni dell’autore. Figli-fratelli generati dal Pessoa ortonimo, ossia il Pessoa anagrafico, il Pessoa-lui-stesso. Si tratta, dunque, di un fenomeno ben più complesso rispetto a quegli espedienti di comodo rappresentati da pseudonimi, apocrifi e altri travestimenti di firma utilizzati da artisti e uomini di pensiero per mimetizzarsi” (Marzio Breda). Scrivere è esattamente questo, per lui: creare creature creanti, creature di finzione che producono a loro volta finzione letteraria, scrive Antonio Tabucchi.  Vogliate perdonare l’incursione accademica sul significato di eteronimia. Non statevene col volto torvo e indispettito, s’è trattato solo di un chiarimento dovuto alla complessità del personaggio e non si voleva assolutamente dubitare del vostro grado di conoscenza in proposito. Ma andiamo avanti. Soares non è l’unico eteronimo nella poetica di Pessoa, anzi più precisamente stando a quanto sostiene lo stesso poeta di Lisbona, Soares è piuttosto un semi-eteronimo, “perché pur non essendo la sua personalità la mia, dalla mia non è diversa, ma ne è una semplice mutilazione: sono io senza il raziocinio e l’affettività”, dunque perché più di qualsiasi altro eteronimo è quello che maggiormente combacia con la figura di Pessoa scrittore. I tre eteronimi più noti sono: Alvaro de Campos, Ricardo Reis e Alberto Caeiro. Ognuno con una sua storia, con una sua vita, con un suo carattere. Spiega Pessoa: “Ho messo in Caeiro tutta la mia forza di personalizzazione drammatica, ho messo in Ricardo Reis tutta la mia disciplina mentale, vestita della musica che le è propria, ho messo in de Campos tutta l’emozione che non ho dato né a me né alla mia vita”. Curiosamente Pessoa in portoghese significa ‘persona’, e ‘persona’ in latino indica la ‘maschera’ dell’attore, mentre la stessa parola in francese suona come ‘nessuno’. Il destino in un nome, si potrebbe dire.

Il libro dell’inquietudine non s’allontana di molto da un altro titolo che girovaga in linea d’aria: il libro della solitudine. Pessoa adora star solo perché odia inciampare tra le gente comune, non ama sporcarsi di banalità quotidiana. Eppure Pessoa-Soares è un impiegato di concetto, è obbligato a condividere il suo ufficio con altre persone insignificanti o superficiali.

Che piacere essere ampiamente soli! Poter parlare ad alta voce con noi stessi, passeggiare senza il fastidio di altri sguardi, reclinarsi sulla sedia in un fantasticheria indisturbata! […] I rumori sono estranei, come se appartenessero a un universo vicino ma indipendente. Finalmente siamo dei sovrani. […] Per un attimo noi siamo i pensionati dell’universo, ci adagiamo nella routine del vitalizio che ci è stato concesso, privi di necessità e preoccupazioni!.

Francesco e il talento che può migliorare il mondo di Federica Passarelli

Eppure no. Non è solo per la filosofia, per la cultura, per l'umiltà (ho sentito spesso questa parola nelle descrizioni che gli amici hanno dato di Francesco), non è solo per l'iniziativa associativa o per la freschezza con cui spiegava concetti difficilissimi ai meno esperti. 

Non è solo per tutto questo. L'aspetto straordinario di tutto questo affetto nasce dalla sua innata capacità di trasmettere agli altri il suo mondo, tanto che amava dire di chi si calava in questo suo universo: "Si sta giampietrizzando!" Eccola qui la grandezza di Francesco. È tutta qui. Ecco perché ho sentito dire da tutte le persone che hanno incrociato il suo cammino terreno: Francesco è in ognuno di noi, appartiene a ciascuno di noi, Francesco è di tutti! Tutte le iniziative ideate dagli amici sono frutto di una volontà sentita, espressa, comune. Se si omaggia un giovane filosofo non è soltanto perché ha scritto dei libri importanti o perché ha collaborato con personaggi illustri come Umberto Eco, e non è perché è stato il primo studioso italiano ad aver tradotto il più importante documento medico leibniziano. Del resto basta aprire Wikipedia per trovare una cascata di articoli in cui si parla della sua bravura, della sua giovane età (per raggiungere certi risultati occorre una vita), della sua cultura sconfinata. Non per tutto questo o non solo per tutto questo si omaggia Francesco. Il motivo è tanto più semplice. Francesco ha trasmesso il valore più importante: credere nell'umanità, nelle sue potenzialità. Ognuno possiede in sé una dote, un talento che se affinati possono contribuire a migliorare il mondo. 

"Abbandonarsi al sonno mentre i barbari saccheggiano la Città, devastando i templi e calpestando il diritto, nume tutelare di un'epoca confusa, oppure scacciare i sofisti dell'ultima ora e ricercatori del profitto fuori dalle mura. Tertium non datur. Figura emblematica, quella della sentinella. Una sorta di tarocco epocale. La sentinella è di per sé inquieta, come del resto ci ricorda il misterioso verso di Isaia, il poeta apocalittico, che rimanda alla voce notturna che chiede: sentinella, quanto resta della notte? E la vedetta dell'ignoto risponde che la notte sta per terminare, anche se l'alba non è ancora sorta, e invita quindi a tornare, domandare, insistere. Ecco quel che non si dovrebbe fare, serrarsi in sé e poi dormire. Occorre piuttosto vigilare, restare all'erta per cogliere la segreta germinazione del futuro. L'ordinanza Romana imponeva alla sentinella di tenere l'indice sopra le labbra per resistere alla sonnolenza. Ridestare la coscienza, scintilla dell'anima, nella notte che ancora non conosce i lumi fiochi del nuovo giorno. La coscienza, compromissione dell'innocenza." 

da: Lettere e disarmonia di Francesco Giampietri: Cap. (Mal)destri, paragrafo 1


                                                                                                                            Federica Passarelli

Editore: L'Erudita
Data di pubblicazione: 2017
ISBN: 9788867701865
Pagine: 88, € 13


Poul Lynggaard Damgaard, 𝙎𝙤𝙣𝙜 𝙤𝙛 𝙬𝙖𝙡𝙡𝙨 nella visione di Nora Capomastro

“Song of walls” di Poul Lynggaard Damgaard,
pubblicato nel marzo 2023, da Austin Macauley Publishers, pp. 124

“Song of walls”, Canzone – o se preferite, canto – dei muri. Una raccolta di poesie bilingue, in cui possiamo assaporare la lingua originale (danese), con a fronte la traduzione in inglese a cura di Rikke Kirchheiner.
I paesaggi, gli elementi naturali, gli edifici, gli elementi architettonici, si fanno interfaccia dell’interiorità del poeta. L’interazione con l’altro, le dissonanze della società, amara solitudine, ma anche istanti di rapimento e innocenza, nonostante tutto. Talvolta specchio, talvolta barriera, spesso mezzo dell’inesprimibile che va oltre le parole; ciò che noi tutti dovremmo recuperare, insieme all’ascolto e alla ricerca e la comprensione del microcosmo dell’altro. Il primo passo è saper scorgere, proprio oltre al muro.

Nora Capomastro

IL RUMORE DELLA COSTRUZIONE

(“Konstruktionens støj” di Poul Lynggaard Damgaard
ENG transl. by Rikke Kirchheiner, ITA transl. by Nora Capomastro,
from book “Song of walls”)

Non possiamo
scrollarci di dosso gli alberi.

Gli alberi stessi
non possono
scrollarsi di dosso nulla.

Tutto sommato il terreno vibra
più di quanto potremmo desiderare.
La poesia non è un piedistallo.


Noi non siamo case.

THE NOISE OF CONSTRUCTION

(“Konstruktionens støj” di Poul Lynggaard Damgaard
ENG transl. by Rikke Kirchheiner, from book “Song of walls”)

We cannot
shake off the trees.

The trees
themselves cannot
shake off anything.

Everything considered the ground vibrates
more than we would wish for.
The poem is not a pedestal.

We are not houses.


IL TERRENO
(“Grunden” di Poul Lynggaard Damgaard
ENG transl. by Rikke Kirchheiner, ITA transl. by Nora Capomastro
from book “Song of walls”)

La città è bagnata dalla pioggia e nessuno lo nota.
Senza case io non penso alle case,
ma alla libertà che aumenta di anno in anno.
Cammino sul terreno e cerco di arrivare al cuore
della tempesta, e dove narra di fotografie
nascoste nelle pozzanghere.
La ruggine è placida mentre cade dal tetto di lamiera
e gli animali devono correre lungo la foresta
perché la casa rimanga. La moneta è sul tavolo
nei cingoli del trattore e devo solo chiamare. 
Abbiamo bisogno di trascorrere gli ultimi minuti insieme, 
prima che il tempo finisca, senza guardarci indietro.
Una bambina con una gonna si appoggia col suo orsacchiotto ad un tubo di metallo.
Un cane passeggia avanti e indietro tra lei e un capannone.
Gli abeti si piegano al suolo e il tessuto scivola nella luce.
Dietro il campo c'è una cascata dietro cui puoi andare.
L'uccello canterino cade su e giù nell'aria.
Non è di certo il cuore moderno dell'acqua che consuma le pietre.
L'angelo scompare così in fretta che devo voltarmi prima che il fiume si prosciughi.
I miei passi nella natura. Segni nascosti del sole.

THE GROUND
(“Grunden” di Poul Lynggaard Damgaard
ENG transl. by Rikke Kirchheiner, from book “Song of walls”)

The city is wet and no one notices.
Without houses I do not think about houses,
but about the freedom which increases for each year to come.
I walk on the ground and try to get to the heart
of the storm, and where it talks
about hidden photographs in puddles.
The rust is calm as it falls from the tin roof
and the animals have to run along the forest
for the home to remain. The coin is on the table
in tractor tracks, and I make a call. We need to spend
the last minutes together before time runs out
without looking back. A little girl wearing a skirt
leans with her teddy bear up against a metal pipe.
A dog walks back and forth between her and a shed.
The spruces lean over the ground. The fabric glides in the light.
Behind the ground there is a waterfall you can go behind.
The songbird falls into the air. It is hardly the modern heart
of the water that wears the stones away. The angel disappears
so fast that I have to turn around before the river runs out of water.
My steps in nature. Hidden signs of the sun.

UNA SINGOLA GOCCIA È UNO STORMO DI UCCELLI

(“En enkelt dråbe er en flugeflok” di Poul Lynggaard Damgaard
ENG transl. by Rikke Kirchheiner, ITA transl. by Nora Capomastro
from book “Song of walls”)

C'è un sole in ogni informazione che mai si condensa.
Una folla divisa in parti che non capiamo,
e il bagliore di una strada che non terremo mai tra le mani.
Quando la strada si fa nuova strada, diventa una luce che non conosco.
Non appartengo a questo luogo, e lo dici a tutti in una piazza aperta,
che i luoghi sono gli specchi di ognuno. Le strutture mutano.
Gli spazi aperti si confondono con schegge.
Perle limpide nel tempo alla deriva e aria umida.
Conosci l'altro specchio prima di conoscere il tuo.
Vuoi partecipare, ma non sai ancora in quale stanza.
Le strade trattengono qualcosa, ed è un'identità sconosciuta.
Nella sua stranezza, non può spiegare il nostro incontro.
Il raggio della vita vicino a noi stessi.
Lascio il sogno per un lungo tempo.
Contro una casa, che non voglio perdere.
Non riesco a distinguere la strada dal paese.
Tra le dita, scorgo una parrocchia.
Fili tra antenne dell'alta tensione nel sonno dei piccioni,
quando si chiamano l'un l'altro dai lati opposti di quel che percepisco come luogo.
Gli ambienti si incrociano in uno scambio di sistemi liberi al confine di un paese.
Dintorni che divergono dal moto. Non ti aspetti di incontrare nessuno,
ed è così che viene percepito il punto più esterno.
Fili di paglia nella comprensione e viste nel vento.
Ciò che non si può dire contro le cime degli alberi scompare in un suono straniero.
Insetti si radunano in un angolo naturale del cielo.
Senza cose una direzione diversa per l’area circondata. Il paesaggio distingue tra la mente e lo spazio aperto.
Ora diamo nome al mare.
C’è una via per colui che cerca.
Ora diamo nome alla terra.
C’è una via per colui che si perde.
Ora diamo nome a uno straniero.
C’è una via per colui che inizia.
Ora diamo nome a un amico.
C’è una via per colui che ascolta.
Quel che tutte le finestre mostrano è il vento fuori di sé.

A SINGLE DROP IS A FLOCK OF BIRDS
(“En enkelt dråbe er en flugeflok” di Poul Lynggaard Damgaard
ENG transl. by Rikke Kirchheiner, ITA transl. by Nora Capomastro
from book “Song of walls”)

There is a sun in all information that never condenses.
A crowd divided into parts we don't understand,
and the glow of a street we will never hold between our hands.
When the street turns into a new street, it becomes a light I don’t know.
I don’t belong to this place, and you tell everyone at an open square,
that places are each other’s mirrors. The structures are changing.
Open spaces are confused with splinters. Clear pearls in drifting time
and damp air. Know the other mirror before you know your own.
You want to partecipate, but you do not know yet in which room.
The streets conceal something, and it’s an unknown identity.
In its strangeness, it can’t explain our meeting.
Ray of life close to ourselves.
I leave the dream for a long time.
Up against a house, I don’t want to lose.
I can’t tell the street from the land.
Between fingers, I get to know a parish.
Wires between high voltage masts in the sleep of pigeons, when they call each other from the opposite sides of what we perceive as place. Environments are crossed in an exchange of free systems next to a country. Surroundings that diverge from the motion. You don’t expect to meet anyone, and that’s how the outermost point is sensed. Threads of straws in the understanding and views in the wind.
What can’t be said against the treetops disappears in a foreign sound. Insects gather in a natural corner of the sky. Without things in a different direction for the encircled area. The landscape distingueshes between the mind and openspace.
Now we name the sea.
There is a way for the searching one.
Now we name the land.
There is a way for the lost one.
Now we name the stranger.
There is a way for the beginning one.
Now we name a friend.
There is a way for he listening one.
What all windows show is the wind beside itself.

𝐴𝑚𝑜𝑟𝑒𝑠, il romanzo di Barbara Alberti

La prefazione è esilarante, irriverente, maledettamente veritiera.
Parrebbe fare il verso a quel: "Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo", l'incipit del romanzo di Tolstoj, verso il quale la Alberti mostra una sorta di insofferenza (io per esempio - semmai a qualcuno possa interessare - da sempre venero Dostoevskij, il caro zio Fëdor che attraverso i suoi personaggi ritrae l'animo umano con la precisione di un orologiaio) che risalta tutta magnificamente nel capitolo intitolato Lev Tolstoj, il nemico delle donne. Dunque. È ben noto quanto la scrittrice Barbara Alberti sia appassionata del tema femminile: simbolo lei stessa del femminismo combattente degli anni '70 e '80, ella oggi sostiene che in Italia non c'è un vero femminismo. È un femminismo di facciata, un femminismo che bada solo ai termini.
Ebbene, Tolstoj (trasformato dai posteri in santino solenne!) precipita rovinosamente nel vortice del peggiore maschilista della storia. Se Barbara Alberti avesse conosciuto Sofja, la moglie di Lev Tolstoj, forse l'avrebbe convinta a scappare di casa e a rifarsi una vita. 
Ci sarebbero state tutte le condizioni, e a rileggere i Diari della consorte di Lev si intuisce che avrebbe potuto farlo sul serio: "Oggi, nel trascrivere il diario di Lëvočka, mi sono imbattuta nel seguente brano: «L'amore non esiste. Esistono solamente l'esigenza carnale della copula e quella razionale di avere una compagna di vita». Se avessi letto questa massima di Lev vent'anni fa, non l'avrei mai sposato ". [S.A. Tolstaja, Diari, 14/XII/1890]
Nel suo nuovo libro, 𝐴𝑚𝑜𝑟𝑒𝑠, Barbara Alberti affronta in modo originale, simpatico e impertinente quello che è il più inspiegabile dei sentimenti. L'amore, i tradimenti, le scaramucce raccontate attraverso gli occhi di personaggi famosi, passando da Marilyn a Grace Kelly (donne amate da uomini mediocri e che si pongono per lo più come ornamento del maschio), dall'adorato Majakovskij (il vero rivoluzionario con il cuore che rulla come un tamburo! e che possiede l'ornamento che rende più bello il maschio: il pudore) a Picasso, definito 'vampiro' perché diceva che la donna è une machine à souffrir.
Un libro che nel titolo pare ispirarsi alla raccolta di elegie di Ovidio e che pone al centro il tema dell'amore ma che va ben oltre il semplice libro con la sua tematica ben definita: è uno scrigno di racconti, di aneddoti, di storie di vita, dove si disquisisce di amore ma anche di letteratura. 
Già, di letteratura. Perché questo libro chiarisce una volta per tutte che prima di scrivere bisogna leggere, leggere! tanto e bene, fino ad acquisire quella conoscenza speciale che consente quasi di mettersi a parlare da pari a pari con personaggi come D'Annunzio, Tolstoj, Saba.
Nel romanzo è espressa anche la sua convinzione che oggi il sesso è eccessivamente sdoganato, ponendosi quasi come un obbligo sociale; la Alberti sostiene che bisognerebbe tornare al peccato, alla voluttà del proibito, quando il sesso bisognava conquistarselo con la paura della punizione, così eccitante.
Un incontro, quello con la Alberti, che conduce il lettore in un viaggio tra gli amori, nell'amore.
Quell'amore però non come lo descriveva Tolstoj nei suoi appunti e nemmeno come lo intendeva Maurizio Maggiani: un letamaio, ma come lo definisce la Alberti:
"L’amore è l’unica forza incontrollabile che noi abbiamo, possiamo pianificare tutto nella nostra vita ma non l’amore. Nessuno saprà mai perché d’un tratto quella persona diventa la ragione della nostra vita: l’amore rimane l’unico mistero non spiegato e come tale preziosissimo."
Citando ancora una volta l'amazzone di Umbertide: L'amore è per i coraggiosi, tutto il resto è coppia. 
Et voilà, signori miei! Buona lettura.

                              𝐹𝑒𝑑𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎 𝑃𝑎𝑠𝑠𝑎𝑟𝑒𝑙𝑙𝑖


Premio Pellicanolibri alla carriera (23 agosto 2022, Iglesias) foto: Marco Pasqua


HarperCollins Italia (2022) 1SBN-13:  9791259851055
pag.: 272, € 17.50



La Notte della Poesia VI Edizione - Venafro 2023

La VI edizione de La Notte della Poesia ha ottenuto un successo strepitoso, di pubblico, di attenzione, di empatia.
La serata, iniziata con la lettura della struggente poesia di Beppe Costa dedicata a Francesco Giampietri e impreziosita dalla musica del Maestro brasiliano Marcos Vinicius (chi ha avuto l'onore di godere del suo talento indiscusso siamo certi che non sarà più in grado di dimenticarlo) ha conquistato tutti offrendo spunti di riflessione e strade maestre tese a perseguire l'idea di quella felicità semplice che solleva dalle ambasce dell'abbrutimento morale e sociale.

Nguyen Chí Trung, Dovremmo vedere

 

Dovremmo vedere (II)

 a Tobías y Juana B.

Dovremmo vedere che tutti i
“dovremmovedere” altro non sono
che verità che restano dietro la foschia.
Ci aiutano ad avere pietà con e dentro questa vita.

Ci aiutano ad affliggerci di giorno
e a non dormire durante la notte
e a sopportare la tristezza fino al punto
che appaia la profondità delle apparenze.

Ci aiutano a vedere nella nebbia,
ci fanno vivere senza sapere cosa sia.
ci aiutano, talvolta, a non aver più fiato,
ad annegare ai confini dell’esistenza.

Ci fanno percepire la miseria primordiale
dimenticata nel tempo della carne.
Ci aiutano a farci un’idea della regione al di là
della vita, pur dovendo sopportarne la gravità.

Ci aiutano a non prostituirci oltre misura,
a non mentirci per un più semplice passaggio.
Non ci aiutano, qui, a vaneggiare qua e là tutti arroganti
all’inizio di una strada, alla fine di un mercato.

Ci aiutano a sapere: dove siamo,
ci incontriamo nelle strettezze di un legame – il vicolo cieco.
Nella gioia di vivere o soccombere: due scene
d’una assurda tragedia che perdura.

Ci aiutano a sapere: se la durata è lunga una manciata
di secondi o trentaseimila giorni, ed è sempre la stessa.
Qual è l’estensione di “lungo” per poter essere considerato tale?
E quanto dovrebbe essere leggero per essere “leggero”; quanto?

Ci aiuta a sapere com'è essere abbattuti
in mille vicissitudini, in un solo lungo ritorno, fino a
che tutto sia penetrato nell'anima, assorbito dalla carne,
finché le mani i piedi il cervello non ci contengano più.

Ci aiutano a sentire un po' di malinconia
dopo l’amena festa in cui nessuna possibilità ci è riservata
di raggiungere un freddo e vacuo istante dentro di noi
in cui ci troviamo di fronte al fatto che non siamo niente.

traduzione dallo spagnolo di  Vito Davoli

VENAFRO - Notte della Poesia 2023 di Marco Cinque

Dopo la sbornia di versi e note che hanno accarezzato le pietre dei muri di quella bomboniera di bellezza che è la piazzetta dell'Annunziata, a Venafro, siamo qui a fare un consuntivo, a rimettere assieme pensieri ed emozioni scaturite dalla notte dedicata a Francesco Giampietri che, in qualche modo, era lì presente, felice di vedere che il seme da lui piantato continuava a germogliare, nutrendosi del desiderio di trasformare la sua città in una culla di incontri, bellezza, cultura, umanità. Ed io, adesso, con queste parole sto cercando di fare un resoconto che, già so, non potrà mai essere all'altezza di ciò che si è vissuto assieme così intensamente, così profondamente.

Di questo sogno realizzato che, mi auguro, continuerà ad essere sognato, Beppe Costa è stato l'artefice, il direttore d'orchestra che ha seguito passo dopo passo tutto il viaggio, nel ripido e faticoso cammino per raggiungere la meta; ma per rendere possibile questo piccolo grande traguardo, Alessia Giampietri (sorella di Francesco) e Federica Passarelli, infaticabili attiviste dell'associazione culturale Venus Verticordia, hanno lavorato davvero tanto, scalando difficoltà di non poco conto. E ci hanno creduto talmente che hanno trasformato l'impossibile in una realtà che oggi possiamo raccontare con l'emozione e il riconoscimento che merita.

Tra le cose più preziose brilla la grandezza di due artisti come Marcos Vinicius e Claudio Luongo, che hanno offerto la loro arte musicale restando, come si suol dire, “uno di noi”. E infatti nessun piedistallo, nessuna distanza si è percepita tra chi suonava e chi ascoltava, perché gli artisti veri, quelli più grandi, non hanno bisogno di indossare i panni luccicanti del personaggio, ma preferiscono restare persone, diventando quindi anche maestri di vita, modelli di bellezza da seguire, sostenere e tutelare. Posso dire che grazie a loro l'incontro ha acquisito uno spessore artistico e umano di assoluto livello.


Gli ospiti intervenuti, il pubblico che ha partecipato, gli sponsor, i tecnici e i volontari che hanno offerto tempo e sostegno concreto, tutti loro hanno contribuito in maniera determinante e sono stati tanto preziosi quanto necessari. Oltre Beppe Costa, Marcos Vinicius, Claudio Luongo e il sottoscritto, sul palco si sono succeduti la quindicenne cantante barese Denise De Giglio, che riceve il Premio Pellicanolibri “Giovane talento” - targa e borsa di studio, Giuditta Di Cristinzi, che ha coordinato la serata introducendo gli ospiti e Rocco Viccione, che ha aperto l'incontro leggendo un'intensa poesia di Beppe Costa dedicata a Francesco Giampietri, sulle note della chitarra di Vinicius, che ha improvvisato un'interazione densa e coinvolgente.

Inoltre, l'assistenza puntuale e precisa del fonico Gianni di Chiaro è stata fondamentale per la riuscita dell'evento, così come anche la disponibilità di Kristin Diamond Stella, che ha presidiato il banchetto dei libri. Devo pure dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso dall'intervento del sindaco di Venafro, che è stato di una sintesi ammirevole, perché non ha voluto togliere spazio e tempo alla poesia e alla musica; ma la cosa più importante è che poi si è seduto tra il pubblico ad ascoltare - una cosa che, per mia personale esperienza, non accade molto di frequente, mostrando così una sensibilità e un'empatia fiori dal comune.

Tra il pubblico, che per partecipare alla serata ha dovuto inerpicarsi per le stradine del centro storico di Venafro, anche la presenza di amiche e amici venuti da fuori, come Antonio Vanni e Simone Principe o chi, come Sara Capoccioni, non è riuscita ad arrivare perché nella foga di raggiungerci si è fatta male a un ginocchio. Per non parlare di tutte le persone che non potevano esserci ma che ci hanno seguito comunque, grazie alla preziosa collaborazione di Zona Rossa Webtv, che ha curato la diretta dell'evento.

I libri che avevamo portato per il reading contro la guerra sono stati venduti tutti. Certo, avevo spiegato che il volume SignorNò, oltre ad avere una funzione culturale e divulgativa, serviva anche a sostenere concretamente una causa umanitaria, ma non pensavo che si esaurissero tutte le copie disponibili. Davvero una gran soddisfazione, perché la generosità dei partecipanti è stata a dir poco meravigliosa.

Ammetto che prima che l'evento iniziasse, controllavo continuamente le condizioni meteo e un po' di pioggia nelle previsioni sembrava dovesse arrivare. Invece, già dalle prove tecniche dei suoni, spirava solo un venticello insistente e il cielo restava aperto. Ho immaginato che, da qualche parte lassù, Francesco stesse soffiando per sgomberare le nuvole, per permetterci di celebrare al meglio la serata. Così è stato: la pioggia poi è arrivata in abbondanza, ma ormai era notte inoltrata. Grazie Francesco, forse è solo una suggestione, ma mi piace pensare che sia andata così.



Il giorno successivo siamo stati coccolati come figli dalla famiglia Giampietri. Alessia e Federica ci hanno accompagnato lungo i suggestivi vicoli storici del borgo poi, coi genitori di Alessia, siamo stati ospiti per un pranzo luculliano. Finita qui? Nemmeno per sogno. Io e Beppe siamo stati riaccompagnati fino a Roma da Lello Pascale, che già era venuto a prenderci a domicilio all'andata. Cosa si può desiderare di più se oltre alla poesia, alla musica, all'impegno sociale e al buon cibo, le relazioni che ti vengono riservate sono così belle, così impagabili?

Per quanto ciascuno di noi possa essere diverso e avere le proprie idee, quando l'essere umano torna ad essere umano, ti accorgi di far parte della stessa famiglia, ovunque tu sia e malgrado le differenze. La poesia e la musica sono state le ali di questo viaggio che ci ha riportati a noi stessi, al senso delle cose, a ciò che vale la pena di ritrovare in ogni luogo e in ogni tempo. La notte della poesia di Venafro è stata l'alba dei nostri sorrisi e il risveglio ci ha ritrovati tutti più vicini. Sono certo che gli arrivederci che ci siamo dati sono una promessa che verrà mantenuta.

Marco Cinque testo e foto