Dario Bellezza, Colosseo e altri luoghi (Seam edizioni, 2013)

Si ristampano alcune poesie di Dario Bellezza, una iniziativa della Seam Edizioni.
dalla prefazione di Alessandro Assiri

[Ho sempre ritenuto l’io di Bellezza un io incapace di ritrarsi, un io speso interamente nell'uso sapiente di un
verso che la profondità l’ha già tutta in superficie, come gioco magico di questa parola adescante, di questo meccanismo a orologeria, costruito per sedurre o per prendere distanze, quasi si usasse la lingua non per replicarsi, ma per imitare una somiglianza, per essere aderente a una costruzione, sia essa una onirica fabula o una ben più modesta, ma non per questo meno vera, proiezione di strada.
Auspico che questo breve percorso possa consegnare al lettore sopratutto un rapporto nuovo con un autore che ci ha insegnato che la vita la possiamo solo sorvegliare con le parole e vigilare con i sensi, un autore consapevole che questa veglia avrebbe procurato un’insana raccolta di illusioni e una altrettanto insana raccolta di presenze.
“La poesia vive di un insonnia perpetua” diceva René Char ed è questa insonnia che Bellezza ha chiesto a gran voce di abitare in un modo che metaforicamente trasforma la poesia di Dario, in una ricerca di inquilini molto più che in una ricerca di interlocutori, inquilini con cui dividere la stanza con cui alleviare un peso.
Spesso sembra che le righe di Bellezza siano un andare a capo quando il pensiero rantola, quando la fragilità
prende il sopravvento come molte volte si può notare anche nei componimenti dove è forte la critica verso l’inutilità dell’atteggiamento politico di una generazione, intuita dal poeta in una spinta empaticamente pasoliniana come il suono di una de-generazione che sarebbe di lì a poco esplosa, con tutte le sue contraddizioni di un presente che non si eternizza mai nei versi, ma ne viene espulso proiettato in avanti.
In una lettura disattenta l’atteggiamento civile di Bellezza potrebbe apparire una mescolanza di superbia e supponenza, ma solo addentrandosi nella carne del verso si può iniziare a scorgere che proprio in quella carne sta tutta la rivoluzione di Dario, la stessa carne che marcisce e che si deteriora come le idee, la stessa carne che diventa desiderio e follia esattamente come le istanze di cambiamento che ogni insurrezione ci chiede].
collana Inediti rari e diversi
pp. 76, € 10.00


la "voce" del Poeta
Mi sono accorto di aver amato,
nella mia vita, tre assassini,
infatti erano anche drogati e fumavano l’hashish.
Avrebbero anche ucciso, me senz’altro.
Il personaggio a cui mi sento più vicino è Oscar Wilde
perché patì la colpa. Fu, come disse a Gide,
colpito. Io sono un colpito
dal destino, e non riprenderò più.
Neppure la poesia, una volta
che le vita resta niente, mi soddisfa,
mi sembra anzi, talvolta, un’attività volgare.
La voglia di vivere ha lasciato il posto all’amore;
il cuore è spento però. Non ho mai pensato
che l’amore fosse legato al denaro.
Orrore, siamo vissuti in un vieto romanticismo.
Per scrivere ho bisogno del Tavor;
altrimenti sono in preda di deliri e fantasticazioni;
nel letto dormo sperando di sognare: solo il sogno
mi soddisfa. Scrivere dovrebbe essere quasi
come sognare, per chi, come me, non vuole
    inventare.
L’invenzione la trova un peccato.



Giovani padri

Io, eroe notturno, notturnamente ero
foto: Dino Ignani
solare se m’imbattevo in qualche giovane
padre!
Sono state le mie lacrime, stanotte,
a ricordarmi che ho amato un giovane
padre - quasi come fosse un ragazzino
nervoso e ilare perché la paternità
lo rendeva libero e io ero sua madre.
Il mio destino, la mia molteplicità
sa che non sarò mai padre. E io
mi sussurro questo nome e la notte
tocco nel mio letto vuoto il sesso
di uno che lo è stato o forse lo sarà.
Dura vita, infinita infinità di morte
calmo appuntamento. Appressamento
rotto dal desiderio-compassione
d’un giovane padre: i corti capelli,
le mani virili, il sorriso
senza dissociazioni col suo sesso.
La speranza a renderlo più forte
di qualsiasi figlio. La normalità.
I giovani padri! I battiti del loro
cuore sono l’amorosità delle rivoluzioni!
I loro bambini sono
le speranze dell’umanità. Il loro seme
per l’uomo oscurato dal male
è la libertà. I ragazzi devono
sforzarsi di diventare come loro,
contenere la futura virilità.
Per questo non sono disponibili. Sono malati.
Ma i giovani, i giovani padri
hanno mutato la città, ospedale-città
con Dario a Siracusa, in tempi più felici
in una rugiada se solo passano
coi loro figli a tracollo e le madri spente
a lato a vivere di questa maternità.
I giovani padri io attraverso e brucio
col fuoco della mente, in un pianeta diverso
da questo pieno d’Orfei, dove conta la forza
della procreazione e la sterilità di primavera
è un campo di concentramento per traditori.

 Forse mi prende malinconia a letto

Forse mi prende malinconia a letto
se ripenso alla mia vita tempesta e di
mattina alzandomi s’involano i vani
sogni e davanti alla zuppa di latte
annego i miei casi disperati.
Gli orli senza miele della tazza
screpolata ai quali mi attacco a bere
e nella gola scivola piano il mio
dolore che s’abbandona alle
immagini di ieri, quando tu c’eri.
Che peccato questa solitudine, questo
scrivere versi ascoltando il peccatore
cuore sempre nella stessa stanza
con due grandi finestre, un tavolo
e un lettino di scapolo in miseria.
E se l’orecchio poso al rumore solo
delle scale battute dal rimorso
sento la tua discesa corrosa
dalla speranza.

dalla conclusione

[Adesso, cessata da anni l’attività editoriale della Pellicanolibri, posso finalmente dare alle stampe, nella collana dal titolo eguale a quella che c’eravamo inventati (Inediti rari e diversi), alcune sue poesie, la gran parte editi già in “Colosseo-Apologia di teatro”. Visto che l’editoria cosiddetta ‘maggiore’ (Mondadori, Garzanti, Guanda, Rusconi, ecc.) l’hanno eliminato dai loro cataloghi.
Amicizia a parte (curo uno spazio a lui dedicato su facebook) è come se si alleviasse il dolore nell'averlo visto e ascoltato negli ultimi anni, debilitato dall'AIDS, trascinarsi con presunti amici e curatori e abbandonato quasi da tutti (mentre Adele Cambria e Anna Maria Marinucci tentavano di opporsi all'isolamento creato da chi gli rapinava gli ultimi sorrisi).
Fui il primo a sapere della malattia (le sue analisi passarono attraverso la mia compagna del tempo che lavorava in ospedale), ma il sospetto c’era già da alcuni anni: come se lo avesse cercato, come se la fine di Pasolini lo avesse tormentato e in qualche modo ne volesse imitare il percorso].
(b.c.)

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