Era na vota na femmena prena
chiammata Pascadozia, la quale, affacciatose a na fenestra che sboccava a
nogiardino de n’orca, vedde no bello quatro de petrosino, de lo quale le venne
tanto golio che se senteva ashievolire: tanto che, non potenno resistere,
abistato quanno scette l’orca, ne cogliette na vrancata. Ma, tornata l’orca a
la casa e volenno fare la sauza, s’addonaie ca ’nc’era menata la fauce e disse:
«Me se pozza scatenare lo cuollo si ’nce ’matto sto maneco d’ancino e non ne lo
faccio pentire, azzò se ’mpara ogne uno a magnare a lo tagliero suio e no
scocchiariare pe le pigniate d’autre». Ma continovanno la povera prena a
rescendere all’uorto, ’nce fu na matina ’mattuta da l’orca, la quale, tutta
arraggiata e ’nfelata, le disse: «Aggiotence ’ncappata, latra mariola! e che ne
paghe lo pesone de sto uorto, che viene co tanta poca descrezzione a zeppoliare
l’erve meie? affé, ca non te mannarraggio a Romma pe penetenzia!». Pascadozia
negrecata commenzaie a scusarese, decenno ca no pe cannarizia o lopa c’avesse
’n cuorpo l’aveva cecato lo diascance a fare st’arrore, ma ped essere prena e
dubetava che la facce de la criatura non nascesse semmenata de petrosine; anze
deveva averele grazia che no l’avesse mannato quarche agliarulo. «Parole vo’ la
zita!» respose l’orca, «non me ’nce pische co sse chiacchiare! tu hai scomputo
lo staglio de la vita si non prommiette de dareme la criatura che farrai, o
mascolo o femmena che se sia».
Petrosinella. Trattenemiento Primmo de la Iornata seconna
da Lo cunto de li cunti «Il più
antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di
fiabe popolari» Benedetto Croce
Nel 1697-98, due
scrittrici Mademoiselle de la Force e Chaterine
D’Alnoy avevano scritto fiabe simili a quella di Basile: Persinette,
pubblicata nella raccolta Les Contes des Contes e La chatte blanche in Contes nouveaux ou les fées à la mode.
I Fratelli Grimm, scrissero molto tempo dopo Raperonzolo col titolo originale Rapunzel in
Fiabe (Kinder- und Hausmärchen, 1812-1822).
Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli.
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C'era una volta un uomo e una donna che da molto
tempo desideravano invano un bimbo. Finalmente la donna scoprì di essere in
attesa. Sul retro della loro casa c'era una finestrella dalla quale si poteva
vedere nel giardino di una maga, pieno di fiori ed erbaggi di ogni specie.
Nessuno, tuttavia, osava entrarvi. Un giorno la donna stava alla finestra e,
guardando il giardino vide dei meravigliosi raperonzoli in un'aiuola. Subito
ebbe voglia di mangiarne e, siccome sapeva di non poterli avere, divenne magra
e smunta a tal punto che il marito se ne accorse e, spaventato, gliene domandò
la ragione.
Raperonzolo divenne la più bella bambina del mondo,
ma non appena compì dodici anni, la maga la rinchiuse in una torre alta alta
che non aveva scala n‚ porta, ma solo una minuscola finestrella in alto. Quando
la maga voleva salirvi, da sotto chiamava:
Un’altra fiaba di origini tedesche, è Puddocky e inizia con una
fanciulla che cade nelle grinfie di una strega per aver chiesto alla madre di
sottrarle del cibo.
In una
fiaba italiana invece a rubare il cibo
è Prunella, una
fanciulla, che viene per questo catturata da una strega (trascritta in
inglese nel 1900).
Nella raccolta Fiabe Italiane (1956) di Italo Calvino, si racconta una fiaba similare a quella
di Raperonzolo, intitolata Il
Principe Canarino, in cui una principessa viene imprigionata in una torre a
causa della gelosia della matrigna e Prezzemolina,
una fiaba fiorentina, scritta in precedenza da Vittorio Imbriani e trascritta
da Isaia Fiorentini in Fiabe mantovane (1879)
C'era una volta marito e moglie, la cui finestra
dava sull'orto delle fate. Questa donna era incinta. Un bel giorno s'affacciò
alla finestra, e vide un prato di prezzemolo, il più bello! Attese di vedere
andar via le fate, poi prese la scala di seta e si calò giù; si mise a mangiare
il prezzemolo a tutto spiano. Mangia, mangia, finché poi risalì la scala,
chiuse la finestra e via! Ogni giorno faceva così. Un giorno, le fate
passeggiavano in giardino: "E dimmi" disse la più bella, "non ti
pare che manchi del prezzemolo?" Le altre risposero: "E ne manca
anche tanto! Sai cosa faremo? Usciremo tutte fuori, e una di noi rimarrà
nascosta; perché qui c'è qualcuno che viene a mangiare."
Prezzemolina da «La Novellaja Fiorentina», 1877 di Vittorio
Imbriani
C'era una volta marito e moglie che stavano in una
bella casina. E questa casina aveva una finestra che dava sull'orto delle fate.
La donna aspettava un bambino, e aveva voglia di prezzemolo. S'affaccia alla
finestra e nell'orto delle fate vede tutto un prato di prezzemolo. Aspetta che
le fate siano uscite, prende una scala di seta e cala nell'orto. Fatta una
bella scorpacciata di prezzemolo, risale per la scala di seta e chiude la
finestra. L'indomani, lo stesso. Mangia oggi, mangia domani, le fate,
passeggiando nel giardino, cominciarono ad accorgersi che il prezzemolo era
quasi tutto andato. "Sapete cosa facciamo?" disse una delle fate.
"Fingiamo d'essere uscite tutte, e una di noi invece resterà nascosta.
Così vedremo chi viene a rubare il prezzemolo
Una fiaba che
narra una storia affine a quella di Raperonzolo
è siciliana: Bianca-comu-nivi,
Rossa comu focu ed è stata raccolta da Giuseppe Pitré (1875).
Bianca-comu-nivi-russa-comu-focu,
calami li trizzi quantu acchianu!
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Cc'era 'na vota un Re e 'na Riggina; stu Re e sta Riggina ancora 'un avianu un figghiu, e sempri face-vanu vutu p'avillu, e prumisiru ca si cci nascía un figghiu o puru 'na figghia, facianu pi sett'anni dui funtani: una chi mannava vinu, e 'n'àutra ogghiu. Ddoppu stu vutu si 'ngravitau la Riggina e fici un beddu figghiu masculu. Comu nasci stu picciriddu, a manu a manu fannu fari sti du' funtani, e li genti tutti javanu a pigghiari ogghiu e vinu. A lu capu di sett'anni misiru a siccari sti funtani. 'Na Mamma-dràa vulènnusi cògghiri li stizzi chi ancora pirculavanu , cci iju cu 'na sponsa e 'na quartaredda. Assuppava e sprimía, assuppava e sprimía . Ddoppu aviri stintatu tantu a jinchiri sta quartaredda, lu figghiu di lu Re, lu picciriddu, chi stava jucannu a li bocci, pigghia 'na boccia, e pi cra-pìcciu cci la tira 'nta la quartaredda, e cci rumpiu la quartaredda. Comu la vecchia vitti accussì, cci dissi: - «Senti: nun ti pozzu fari nenti, cà si' figghiu di Re; ma ti mannu 'na gastima: chi nun ti pozzi maritari fi-na chi nun trovi a Bianca-comu-nivi-russa-comu-focu!»
In una fiaba
greca invece si narra di un eroe che insieme all'eroina fugge dalla strega, la
quale però opera su di loro un maleficioed è Anthousa, Xanthousa,
Chrisomalousa (Georgios A. Megas 1893-1976).
Infine in un’altra fiaba napoletana Filogranato, racconta la storia di una bambina che si
nutre soltanto di uva. La piccola viene presa – in cambio della libertà
della madre – dalla padrona della vigna nella quale la povera donna ha rubato i
frutti per nutrire la figlia. La bambina è chiamata Filogranato e rinchiusa in
una torre in cui la vecchia è solita portarle da mangiare:
Filogranato,
Filogranato, quelle trecce dorate mandale giù che voglio salire,
è arrivata la
tua comare, è venuta a visitarti.
Tutte le fiabe citate sono elaborazioni di Petrosinella di Giovan Battista
Basile, poiché raccontano quasi
tutte storie di madri in attesa che, per soddisfare delle voglie, sono
costrette a dare le loro creature in cambio. Queste vengono rinchiuse in torri
isolate, ma di loro s’innamorano dei principi vedendole alle finestre. Insieme
riescono a organizzare fughe per rendersi indipendenti, attraverso varie
peripezie.
Con alcune
varianti tra le quali il cibo di cui si avverte il desiderio, le antagoniste,
le prove da superare, questi racconti popolari, divenuti fiabe, hanno
attraversato i secoli e sono stati raccontati oralmente da nonni e genitori,
prima che li leggessimo sui libri. Pur essendo antichi restano attuali. Oggi le
donne incinte hanno ancora “voglie” improvvise e ne cercano soddisfazione, pur
sapendo che le loro creature non avranno un segno indelebile sul corpo.
Naturalmente questi non costituiscono più i motivi per dare via i propri figli,
ma ce ne sono altri, quali l’impossibilità di crescerli da sole o l’estrema
povertà. L’isolamento dell'adolescente avviene tuttora per inadeguatezza, per
costrizione o per protezione ed è sempre presente il desiderio di autonomia e
libertà che fa emergere il coraggio di affrontare qualsiasi ostacolo, attivando
risorse personali.
Adulti, bambini
e adolescenti hanno ascoltato affascinati queste fiabe, traendone conforto e
sicurezza per le situazioni che vivevano nelle diverse età, anche da azioni
apparentemente negative, quali la reclusione. Lo psicanalista svizzero Bettelheim
ha portato l’esempio di un bimbo di cinque anni cui questa storia della ragazza
rinchiusa, in assenza della nonna ospedalizzata, ha trasmesso un senso di
protezione e fiducia che, in caso di necessità, avrebbe trovato nel suo corpo i
mezzi per salvarsi, come Rapunzel con le sue trecce.
Ciò può
dimostrare come una fiaba, raccontando in modo immaginoso e indiretto problemi
umani esistenziali, può suggerire insegnamenti, soluzioni anche a un bambino di
sesso maschile seppure l’eroina della storia sia una ragazza adolescente.
Come sappiamo,
ogni fiaba che si rispetti ha lo scopo di trasmettere un insegnamento.
Bettelheim, riguardo Petrosinella spiega che nella
storia non vi è una vera e propria morale, ma viene messa in luce la fiducia in se stessi, l’unico motore che ci permette di
affrontare qualsiasi sfida con coraggio e senza mai arrendersi.
Giovan Battista
Basile trascrisse ne Lo Cunto de li Cunti, overo lo tratteniemento de’
peccerille, le fiabe tradizionali della sua terra: la Campania. È un libro di fiabe poiché è uno di «quei
racconti tradizionali, nei quali prendono parte esseri sovraumani ed extraumani
della mitologia popolare: fate, orchi, animali parlanti, vegetali e minerali di
prodigiosa virtù e via dicendo» (Croce). Solo sei dei 50 cunti non
corrispondono a questa definizione.
Naturalmente bisogna tener presente che all’epoca la fiaba non era
considerata un genere letterario rivolto all’infanzia e questo periodo della
crescita non necessitava di particolari attenzioni e cure come avviene oggi.
Fu pubblicato dopo
la morte dell’autore nel 1634-36 dalla sorella Adriana ed è una delle raccolte
di fiabe più importanti della cultura europea.
Il Cunto ha la struttura di un racconto all’interno del quale, ne sono
narrati altri quarantanove. L’opera è divisa in cinque giornate di recitazione
comica (da
cui il titolo postumo de Il
Pentamerone) e ciascuna giornata si chiude con un’egloga, una satira
morale che ritrae «l’infelicità delle varie condizioni umane», recitata da due
servi-attori.
Ogni giornata si apre con una ’Ntrodutione e tutte le giornate, tranne
l’ultima si chiudono con un’egloga recitata.
L’atmosfera è quella dei casali, un’aggregazione di cortili intorno ad un
corpo centrale, dove si riuniva la gente comune per trascorrere qualche ora,
ascoltando piacevolmente i trattenimenti. Tutti i racconti sono aperti da una
sequenza proverbiale e chiusi da un proverbio che ha il compito di smorzare il
tono fortemente espressivo e audace del racconto.
Fu proverbeio de chille stascioniato, de la maglia antica, che chi cerca
chello che non deve trova chello che non vole e chiara cosa è che la scigna pe
cauzare stivale restaie ’ncappata pe lo pede, come soccesse a na schiava
pezzente, che non avenno portato maie scarpe a li piede voze portare corona ’n
capo.
A pazze e a peccerille dio l’aiuta
Per la varietà
degli intrecci e lo stile ricercato, molto attento all’aspetto linguistico, le fiabe
del libro, tradotte in tedesco e inglese, furono un modello per Perrault e in seguito per i fratelli
Grimm.
Basile, oltre
che alla tradizione popolare ha attinto alla tradizione
letteraria più colta dell'epoca, a miti e leggende, a proverbi e aneddoti, a
termini appartenenti ad aree linguistiche differenti, a temi trattati da autori
classici quali Plinio, Ovidio, Virgilio, Petrarca.
L’autore
sviluppa spunti fantastici tradizionalmente conosciuti e universalmente noti creando La gatta cenerentola e Cagliuso. Il personaggio di Cenerentola raggiungerà la fama con Charles
Perrault e Cagliuso diventerà Il
gatto con gli stivali di Johann Ludwig Tieck. Altri personaggi,
ripresi dall’ambiente popolare del seicento, entreranno nei libri di fiabe per
ragazzi, come Vardiello.
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Lu cuntu inizia
così.
C'era una volta ‒ ‒ il re di Vallepelosa, che aveva una figlia di nome Zora. La fanciulla era talmente triste che il padre, nella speranza di indurla a ridere, aveva escogitato i più fantasiosi espedienti, senza però riuscire mai nell'intento; finché un giorno, mentre è affacciata alla finestra, Zora assiste al vivace litigio sorto tra un paggio e una vecchia: il gesto osceno che la donna rivolge al giovane suscita nella fanciulla risa irrefrenabili. Ma all'ilarità della principessa, la vecchia, che si crede beffata, risponde con una maledizione: la fanciulla non potrà sposare altri che il principe di Camporotondo, Tadeo. Questi, a causa di un incantesimo, giace, senza vita, in un sepolcro, ed è destinato a prendere in moglie solo colei che saprà risuscitarlo, riempiendo di lacrime una brocca. Vedi anche l'articolo correlato cliccando QUI