Leggendo Gorizia On/Off di Giovanni Fierro, senza voler
azzardare alcun paragone, l’autore che vi viene subito in mente è Pessoa e i
personaggi della prosa poetica de: Il
libro dell’Inquietudine.
Il secondo pensiero è quello di visitare Gorizia, città diversa,
di confine come confine c’è quasi in ogni pagina del libro fra narrazione e
poesia.
Potrei pensare che persone, locali, cibo e piazze della città
possiamo trovarle in tanti altri libri e descriverle come ha fatto Fierro. Ma
lui l’ha realizzato in un susseguirsi, persino nella stessa riga, del
ribaltamento delle due forme: prosa e poesia. D’improvviso:
[…A Stefania Suligoj piace / la parola ‘tacadiz’, e di
‘attaccaticcio’ vorrebbe / solo un corpo caldo sul suo, a fare del respiro / un
bacio, e poi un incanto e poi un fiore. /
Fra queste case e vie l’amore si muove…]
Oppure:
Fra cuore e inguine si muove l’odore della pelle,
tra il mio sguardo e ciò che vedo c’è lo spazio
dove posso mettere il dito, una birra da mezzo,
gli involtini primavera. Seduto sulla panchina
al parco della Rimembranza aspetto le tue gambe.
quando fanno l’onda del mare e io faccio finta
di non saper nuotare…]
Figure minime della quotidianità assumono un ruolo
importante nella vita del poeta, nel suo on/off verso la città che vive e rende
viva, fra luci ombre, un sole timido o vento forte che sia, dove d’improvviso
appaiono scene d’amore intense eppure comuni
che si mischiano a un piatto di pasta o a un cielo troppo carico di
stelle.
Una poesia certamente diversa da molta produzione poetica
che non lascia tracce alcuna anche nel lettore di molta buona volontà. Come
guida turistica di cuori e volti che da anonimi passanti diventano protagonisti
di storie senza rendersene conto, scorrendo, come in un film fra colori, suoni
e visioni.
Per questo il mio accenno a Pessoa.
[…Della mamma non dice nulla, il silenzio che ha / negli
occhi basta a contarle gli abbracci.
Altro non sa…]
Si avverte persino quando cambia il clima, dall’afa al vento
gelido e porta al lettore l’odore dei cibi.
Non resta che visitare Gorizia e guidati dalle pagine
dell’Autore che ne illustra la storia, verso dopo verso. Ma, come avverte lo
stesso Fierro “Gorizia non finisce mai” come la poesia stessa non ha confini.
la 'voce' del Poeta
Ada Beltrame con i capelli raccolti
sulla nuca
pensa alla pesca dei cigni alla fiera di Sant’Andrea,
si domanda se vivere è il morso di piadina
salsiccia, peperoni e cipolla che prima ha dato,
e si racconta che sui san pietrini di corso Italia
ha già perso un tacco della scarpa. “Fosse stato così
semplice”, si dice, “perdere l’amore che mi tradiva”.
Con lo sguardo nota la finestra aperta sopra la libreria Ubik.
E si accorge che da lì non c’è niente che ne esca,
“come da ogni desiderio che conosco”, aggiunge.
**
Fino adesso ho indovinato gli errori e
le loro parole,
li ho messi a fare un filo a cui mi
aggrappo e tiro,
sì ci sei anche tu, sei il nodo che lo
fa finire.
Ma saranno i piccoli rumori del cuore in
attesa
a salvarmi, farò entrare la luce nella
luce, per
misurare lo spazio che rimane attorno,
dove lo posso
chiamare casa. Ci sarà un silenzio al
sapore di dolce
arresa, il suo profumo si disegna sui
vetri, i contorni
evaporano. Saranno le ore giuste dei
giorni vicini a
dirmi che posso rimanere, con tre poesie
di Raymond
Carver, la gioia cucita che si tiene con
una molletta
e un pallone da calcio. Ti dico
sottovoce ‘sarai il
sonno prima del cuscino, e dopo il
sognare che prende
coraggio e fa di ogni bambino un eroe’.
Potrò solo
ritornare in galleria Bombi e dire
buongiorno agli
uomini venuti da lontano, con una
coperta inventano
un nido, portano con sé la fame e lo
sguardo di dove
non si vede, la fuga sui passi, la
febbre di ieri e di
domani. Sarò il ritorno, che non si
incespica più
sulle radici della paura. E sarà sempre
più vero che
la vita la si attraversa a morsi, e
dall’amore ne potrò
uscire solo con una capriola.
**
A Gorizia l’amore è il piacere da
confessare,
non il suo peccato; è l’abbraccio del
silenzio
che sta nel fondo della fontana del
Nettuno
in piazza Vittoria, è la pronuncia di
“Nova Gorica”
che sbaglio sempre. Conosco l’amore con
cui
Fabio Stella apre la bottiglia di vino
bianco
alle otto e venti del mattino, si
riempie il bicchiere
e si ricorda che “la fiammella del gas è
l’unica
stella che so accendere”. A Stefania
Suligoj piace
la parola ‘tacadìz’, e di
‘attaccaticcio’ vorrebbe
solo un corpo caldo sul suo, a fare del
respiro
un bacio, e poi un incanto e poi un
fiore.
Fra queste case e vie, l’amore si muove
con il passo
di un colore che ha paura di asciugarsi
presto.
Ma se è sbagliato, non di cuore ma di
precisione,
qui l’amore pensa ancora che si può
vivere
di aiuti statali. Questo non l’ho detto
a Giulio Bon,
quando sul muro di via Favetti ha
scritto
“Serena ti amo, anche quando studi”.