La Luce Della Follia (d’Amore) di Alessandra Tucci

La Luce Della Follia (d’Amore)

 

Parliamo d’amore. Da decenni, secoli, millenni. Da sempre.
In versi e in prosa. In latino, italiano, inglese. In greco, in francese. In dialetto. A gesti. Sguardi.

Ma spesso, troppo spesso, dimentichiamo la lingua atavica del cuore e l’inflessione della sua ritmica cadenza. Piena anche quando perde un battito, corale pur nell’abbandono, armoniosa a coordinare la pluralità dell’essere. Senza appiattire.

E il nostro verso d’amore ci si strozza dentro l’anima.
D'amore cantiamo. Continuamente.

Estasiati e arrabbiati. Distonici e melodiosi. Lo vestiamo di pop, rock, blues. Lo rendiamo lirico e metallico, corale e monocorde.

Ma spesso, troppo spesso, dimentichiamo di accordare la partitura della nostra piccola visione allo spartito universale. E le note che escono dalle nostre labbra perdono le loro ali erotiche. Spegnendosi in gola, impigliate alla raggelante esitazione. La paura di osare.

 Lo proteggiamo l’amore.

Laviamo via da lui il fango della terra e la polvere delle sue strade, lo smacchiamo dalle impronte che non ci appartengono, ci fanno paura, lo sterilizziamo rendendo asettico lui e noi verso tutto ciò che non siamo, tutto l’alieno, e costruiamo per lui sontuosi castelli di (s)tentata protezione, la nostra magia. O scintillanti grattacieli illusori, l’illusione di salire al cielo senza le ali Lì dentro lo rinchiudiamo, solo, in immense stanze vuote, buie, fredde. Isolate.

Dimenticando che l’amore è ovunque che vive. In mezzo alla terra, nell’aria, dentro l’acqua. Nudo, sporco, scintillante. Bagnato ed arso. Libero.

E che è lì che tornerà.

Si svestirà dei nostri confini e delle nostre fobie e delle nostre compulsive manie di sterile perfezione per liberare la sua essenza, il coraggio di essere, l’agire col cuore.

E tornerà nel mondo a indicarci il percorso. 

Ci chiederà di seguirlo, lo chiede sempre di liberare l’anima e cominciare ad osare.

E ci lascerà soli nel nostro freddo castello di carte mai giocate se sceglieremo la paura a lui.

Noi (rin)chiusi in protezione dalla vita e assennati, lui follemente vitale e libero.

Altrove.

L’amore è dappertutto e noi lo cerchiamo solo in pochi angoli. Sterilizzati e bui.

L’amore ci casca addosso, ci soffia intorno, ci inonda di luce e ci stordisce di sussurri e boati. E noi tappiamo le orecchie biascicando tra anima e cuore la nostra nenia mono-nota perché su di essa rimangano concentrate, perché non cedano alla seduzione di un coro incantatore.

Indossiamo rozzi teli e asettiche maschere egoiche sotto i quali ripariamo i nostri rapporti sicuri perché non li tocchi, lui non ci penetri. Che rimanga in superficie. A scivolare via il prima possibile per poi poterlo (rim)piangere.

Inforchiamo spessi occhiali neri e ne schermiamo il bagliore perché neanche un piccolo riverbero inquini la rassicurante penombra alla quale ci siamo votati. Lui brilla ovunque a illuminarci il buio che ci assedia, noi chiudiamo i raggi fuori per non guardare in faccia il nostro lato oscuro, non affrontarlo. 

E ci incateniamo alle nostre solitarie certezze per non essere trascinati via da lui nell’incerta infinità.

E ci chiediamo perché non lo vediamo, noi non lo troviamo?

D’amore è pieno il mondo e noi abbiamo perso occhi per vedere il suo splendore, orecchie per udirne il canto, sempre corale?

Al di là del (pre)giudizio, oltre ogni esitazione, dall’altra parte della paura.

Dentro la vita, in mezzo al mondo, in ogni angolo del Creato, nell’altro.

E’ lì che lui sta. A creare. Unione.

Coraggioso perché agisce sempre in assonanza.

Con lui. Con il cuore.