Claudio Moica Non scrivo poesie di domenica

 

ISBN 978-88-98965-33-5, 64 p., ill. , Brossura € 9.00

Non scrivo poesie di domenica un titolo – questo - contro l’indifferenza, contro tante parole spese senza andare troppo spesso a capo, neanche buone per bracieri, probabilmente diffonderebbero solo freddo.
            Titolo che protesta contro la realtà che sopraffà la possibilità del respiro.
Così il poeta mette prima del lettore se stesso, escludendo il giorno festivo dallo sguardo rivolto sia il passato che al futuro nell'unica dimensione esistente: il presente.

È il presente non ha nulla di buono, l’occhio guarda intorno e scava nel passato, non scorgendovi che dolore, costante, incessante, ineludibile:

di quando stringevo tra le mani le ginocchia / e al buio piangevo per dimenticare”.

Già dal lunedì, la settimana raffigura, attraverso immagini delicate, l’intento dell’autore, rccogliere sé come in una lunga confessione davanti a un qualsiasi dio, puché ci sia da qualche parte, complice e partecipe dello stesso sentimento che non può e non vuole essere accomondante, né piacere agli eventuali lettori:

“A volte ritorno tra le urla dei mortali  / abbracciati ai loro giorni tristi  / alle inutili parole pronunciate / da improbabili re del nulla / e avvolti nelle loro camicie bianche”.

All’umano cui parla come a se stesso dove, per contrasto, la natura che fa da sfondo alla miseria della vita, continua a rappresentare il miracolo possibile:

“Questa luce spinta prepotentemente dal buio / riflette questa eternità che nulla ha di eterno”.

Ma c’è anche un tenue speranza del rivolgersi alla poesia, come arma di difesa, quando anch’essa non diventi offesa:

“Ma io busso sempre alle tue finestre socchiuse / starò in silenzio, farò tacere i miei pensieri  / mi lascerò battezzare dal vento che mi hai donato / come uno zingaro ti cercherò tra i campi assolati  / e tu, poesia, lascerai che ti parli e nulla più sarà”.

Questo è il dono che il Poeta offre al lettore: una riflessione sulla scrittura poetica, tanto amata ma, come ogni amore vero, altrettanto sofferta. Io non sono qui se non come lettore incapace di far paragoni, annotazioni critiche o altro non mi spetta né compete. Sono il lettore attento che qualche volta, raramente, vorrebbe travore parole che affinanchino la stessa solitudine, lo stesso intento, l’identico amore che gli esseri umani perduti che riusciamo a vedere nellamoltitudine rumorosa che tutt’intorno urla, chiede, inpreca, uccide e muore:

Che ne sai di chi non è nato sotto una stella / di chi si nasconde sotto la pioggia / mentre l’indifferenza delle nuvole non passa / è sembra impossibile avere un cuore che batte”.

            “L’occhio multidirezionale del Poesta che vede altro e oltre: non basta assaporare attimi di paradiso / perché l’inferno è in ogni angolo di conoscenza”.

  Così forse, probabile, anzi possibile che il lettore si ritrovi in ogni verso e possa, attraverso questo concerto di parole mai abusate, ritrovare parte di sé o tutte le sue parti mancanti, per distrazione, cultura, tempo o cecità. Così mi ritrovo, come raramente accade, in ogni verso e, d’altro canto, per lavori e attività che ci vedono combattere nelle stesse direzioni, forse non poteva essere altrimenti.

Se la vita è l’arte dell’incontro, questo è uno dei rari casi quanto avviene e, quasi senza accorgersi, a distanza, si forma una complicità di passioni, dolori, perdite, ma anche momenti di rara nostalgia per lo squarcio d’un ricordo. Ma bisogna arrivare a un triste giovedì:

            “Cosa ricorderai di quei giorni persi a rincorrerci / dietro scrivanie disordinate e distributori di caffè / a elogiare vaghe promesse di eternità?”

            La natura, la pioggia, gli uccelli sono il paesaggio che affianca la solitudine del Poeta, una natura silente che sembra ascoltare, a volte anche ubbidire soggiacendo alle stagioni del poesta che le percorre tutte, salvando, come si dice del Creatore, la domenica degli affanni, quindi non mi è dato sapere se quel giorno che cade ogni sei giorni, il Poeta può lavarsi, o almeno ripararsi dal male che affligge l’umanità

            Piove mentre attendo che suoni la sveglia / e le parole non hanno riscaldato  / il mio sonno travolto da un’alluvione / di uomini affannati e senza volto. / Piove e ancora il mattino non arriva.

        Mi rendo contro di non aver scritto nulla della poesia di Claudio Moica, è lui che mi racconta di sé, sena pudori né false umiltà: è tutto qui, in questo libro breve ma di rara intensità, dove certamente il lettore può trovare un complice alle proprie solitudini, qualche risposta alle tante domande sull’utilità dei ricordi, della memoria che non è mai la storia personale di un singolo, ma l’incrocio e incontro con altri esseri umani a volte visibili, più spesso no.

            “Ma ricerco sempre il nord dei giorni / mentre mi sforzo di vivere ogni mattina / in questo povero mondo insanguinato / e sepolto nelle fosse comuni dei dimenticati”.

            Se, leggendo un libro di poesie, trovi complice un forte sentimento d’amore, ebbene, questo è uno dei pochi e rari casi.


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