Luigi Paciello: Esisto dunque penso

La voce roca a volte sembre soffocata, ripete nell'incertezza del suo dire una due frasi poi, come preso da affanno si ferma ma subito riprende e un sorriso strano s'affaccia su un viso rotondo, poi lo guardi negli occhi e comprendi che essenzialmente è un poeta, chissà come sia finito lì, nel lavoro, nella vita di marito e padre mentre si danna per il desiderio di capire perché è necessario fumare, prendersela con quel pezzo di carta, così lontano dal bene del cuore (e della salute). Lui è Luigi Paciello, arrivato di corsa in pantaloncini, guardando in alto in un giorno di settembre per ritrovarmi, per una stretta di mano, un breve incontro, poi di corsa verso i suoi doveri che lo frantumano fra molti dubbi e quasi nulla certezze.

Unica cosa certa che ama la parola, quella semplice, come un abbraccio antico o uno sguardo con occhi lucidi. Ama la parola e mette in gioco se stesso fra dubbi dell'essere e/o dell'immaginario che potremmo e, questo, è palese in ogni riga, verso, poesia.
L'ineluttabile del misurarsi costantemente con ciò che ci insegnano e tutto il contrario del come vivere.
Per me in questi tempi di magra umanità, una "scoperta"! C'è molto da dire e conoscere ma credo che sia utile riportare la "voce" dell'Autore e ciò che con molta eleganza ha scritto il suo prefatore di questo suo primo libro di poesia: Esisto dunque penso, Giulio Di Maggio.

beppe costa

"L’obiettivo della mia introduzione alla silloge poetica è quello di avvicinare il lettore a prendere consapevolezza che la poesia e quindi il poeta, è l’elemento più “reale” della nostra vita.
Per avvicinarmi a questo impavido traguardo ho provato a immaginare la poesia come un processo generativo. Quindi come “la nascita di una vita”. La parola poesia deriva dal greco “poièo” (ποιέω) e in italiano significa “produrre, fare, costruire”, nel caso della scrittura, ovviamente, attraverso l’utilizzo delle parole.
Grazie a ciò, il suono, la metrica e il significato stesso di ciascuna parola genera un componimento, un’opera unica. Non serve essere “poeti” per scrivere versi, d’altronde la poesia è l’espressione più pura della nostra anima. E dato che l’essere umano, in quanto tale, è “possessore di un’anima”, tutti, in potenza, siamo in grado di generare poesie. Tuttavia, nonostante una “logica di ferro”, è evidente che la poesia è anche molto altro, ovvero: coscienza, sensibilità, consapevolezza e intelligenza Esisto dunque penso Di Carlo Edizioni emotiva. Senza dubbio queste quattro parole, spiegano bene “il senso del fare” del poeta e gli elementi caratterizzanti o per meglio intendere i segni distintivi della raccolta “de quo” presa in esame. La Coscienza è la facoltà immediata di avvertire, comprendere e valutare i fatti che si verificano nella sfera dell’esperienza individuale o si prospettano in un futuro più o meno vicino. Potremmo definirla una sorta di dote investigativa, ossia fonte primaria generatrice di domande.
E l’autore di questa silloge, a riguardo, se ne pone diverse: “verità”, “essere”, “giustizia”, “amore”, “esistenza”, “tristezza”, “preoccupazione” e tante altre ancora. A tali domande spesso non dà risposta alcuna, giacché rappresentano una voce interiore che squarcia la nostra realtà. «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me» direbbe Kant...]"

Giulio Di Maggio
                            alcune poesie:

L’eternità

Rinascere ancora...

Chissà sotto quale forma;
e sopportare i limiti
che una pace eterna,
promette di portare via con sé.

Basterebbe forse un solo istante
fuori dalla carne,
per godersi quel secolo di vita
trascorsa dentro un’anima.

Lasciamo pure credere al fato
d’essere lui a decidere
chi di gioia vestirà l’esistenza.
E alla ragione,
concediamole la possibilità
di passeggiare allegramente
lungo le vie del dolore,
senza ribellarsi
all’indubbia sua saggezza.

O follia, quale colpa
ti si può attribuire
se abbiamo necessità di credere
a tutto quel che smuove
gambe stanche...

alla sfrontata ricerca del piacere.

L’uomo e la sua morale:
una foglia caduta
in primavera
che nessuna mano
oserà mai cogliere.

Giochi di ombre

Ombre di luci innescano suoni,
sordi lamenti di pace smarrita.

Rinnego la vita
se questo è il mio giorno,
che stanco s’arrende
a nuove emozioni.
 

Da tempo predico calma,
ma intanto m’invade
il pensiero indolente
che posseder tutto
non rende felici.

Sorrido alle lacrime
di un vecchio ricordo,
triste bisogno,
di un ultimo sogno.

Se esistere è piangere,

allora che fare?

Meglio burlarsi
del proprio dolore.

Giochi di ombre

a due passi dal mare:
un’onda promette
di prendersi tutto.

La promessa di cartone

Giuro che è l’ultima!

L’ultima dannata volta
che affido alla cenere
i miei pensieri.

Sono stufo...

Stanco di tutti i buoni propositi
e delle delusioni che si celano in essi.

Ci sarà pure un desiderio
ancora inespresso?

Dovesse avverarsi pazienza!
Per una volta sola fa niente.

Poggio un occhio sul mio vizio:
manca poco.

Doveva essere l’ultima.

Certo!

Ma quando non ho mai
deluso me stesso?

Sfilo dal pacchetto
l’ennesima “ora” in meno:
la guardo, mi sorride,
quindi la serro fra le labbra.

Giace mezza addormentata
attendendo la sua fine.

Le do fuoco dolcemente,
aspirando le sue pene.

Cessante oblio

Un brivido scuote le già tenui certezze:
sospiro che illude la carne,
arrogante virtù dell’inumano essere.

Estratti di antiche conoscenze
a riparo da ogni dubbio,
ormai destinate a perire dietro le quinte
di questo osceno spettacolo.

Dove tutti recitano una parte,
ma nessuno indossa
i panni del protagonista.

Credimi sciocco teatrante:
questa vita è fatta
solo di comparse!

Avrai ciò che desideri
solo quando il tempo,
burlandosi del tuo domani,
ti sussurrerà all'orecchio:
“Tieni pure il resto”.

Un’amara scoperta

Allora è questa la felicità?

La frigida essenza di un istante
che dribbla l’anima
e si schianta feroce
contro il primo senso di colpa!

Che idioti siamo!

Schiavi di un desiderio
che rigurgita un sorriso,
fatto solo per dimostrare
a chi ci ama
che siamo ancora vivi.

Vivi certo, come un sasso
che dal fondo di un fiume
maledice quella mano
che osa raccoglierlo ancora.

E morti, come un fiore
appena sbocciato e già colto,
che profuma di un’esistenza
fin troppo fragile.

Allora a che serve sorridere?
Quando su quell’altalena
non siederà più nessuno,
sarà comunque delle lacrime
che malediremo il sapore.

L’ottavo giorno

Non è una risata
a benedire l’avvento,
ma lacrime copiose
che sporcano di vita la terra.

Qui, dove per esistere,
bisogna trovarsi un posto
che non pretenda un domani,
sotto stelle affievolite
da quell’ottavo giorno:
l’unica salvezza ha gli occhi
spenti del prevaricato.

Un’alba sconosciuta
e orologi fermi,
le cui tentazioni inquiete
di cui nessuno parla,
sono sentieri fatti apposta
per chi non vuol sapere.

Fra tempo e spazio 

Quando l’amore finisce
non resta che aggrapparsi al desiderio.

E diveniamo spazi
troppo stretti,
per infilarci dentro
ciò che siamo.

Occhi spinti verso l’altrove
e un’unica caparbia volontà,
capace di rimanere in vita,
attendendo l’eterno riposo.

Non c’è tempo che possa brandire
mani costrette a indossare pugni.
Questione di pochi secondi!

Un colpo sul viso
e mille cuori infranti.

Dove sono?

Non una voce
si leva misericordiosa,
a redarguire il dubbio,
maledicendo ogni certezza.

Qui, dove tutto è niente,
forse m’illudo di esistere
solo perché d’inerzia sopravvive


Luigi Paciello, Foggia,1982, città dove attualmente risiede.
E-Commerce Manager, Social Media Manager e Brand Manager.
Nel 2010 ha pubblicato con Cicorivolta edizioni il primo romanzo: Appesi a un filo.
Ndel 2022, il secondo: L’altra metà del dubbio, (Porto Seguro editore).
Esisto dunque penso è la prima silloge poetica edita con Di Carlo Edizioni, 2022.